Uno dei protagonisti del trionfo in Rainbow Cup, Marco Riccioni, si racconta a OnRugby: tra sconfitte, vittorie e il futuro nei Saracens.
Dalle 0 vittorie in Pro14 al trionfo in Rainbow Cup, tra la voglia di salutare Treviso nel migliore dei modi e il bisogno di migliorarsi sempre di più. Dalla chiacchierata di OnRugby con Marco Riccioni viene fuori l’essenza di quello che sono stati gli ultimi, trionfali, mesi del Benetton, e l’immagine di un ragazzo che ha ancora voglia di togliersi tante soddisfazioni.
Una grande Rainbow Cup dopo un Pro14 difficilissimo. Cosa è cambiato?
Penso che il percorso sia iniziato subito dopo la partita di Glasgow, in Pro14, dove avevamo preso più di 40 punti. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti cosa non stesse andando nel verso giusto. Sarebbe stato troppo facile dire “Ormai quest’anno è andato, l’anno prossimo ricominciamo da capo”, invece ci siamo detti “Ok, il Pro14 è finito, adesso pensiamo alla coppa e alla Rainbow Cup” e già contro Agen e Montpellier si è visto qualcosa di diverso. Sicuramente avere tutti gli internazionali in rosa ha aiutato a ritrovare il concetto di squadra, e poi c’erano tutti quelli che come me a fine anno avrebbero lasciato Treviso, volevamo salutare e salutarci in modo diverso.
Avevate bisogno di riassestarvi…
Una chiave di lettura può essere il fatto che molti ragazzi, compreso me, andassero via durante le finestre internazionali. Ho vissuto i due mesi di ritiro del Sei Nazioni e tra i risultati e lo stress della bolla è stato psicologicamente molto duro, anche perché a causa del Covid si passava solo dall’hotel al campo e viceversa, non staccavamo mai.
Quando avete iniziato a credere seriamente di poter vincere?
Già contro Montpellier avevamo più confidenza, e pur perdendo ce la siamo giocata contro una squadra che poi ha vinto la Challenge. Questa cosa ci ha portati a credere di più in noi stessi. Poi contro Glasgow è arrivata la grande prestazione. Anche nell’anno dei playoff appena abbiamo cominciato a vincere non ci siamo più fermati.
Quell’anno la chiave fu la partita contro Cardiff vinta all’ultimo secondo…
Sì, da lì è iniziato tutto, e allo stesso modo contro Glasgow. Anzi, in questo caso noi abbiamo vinto contro la stessa squadra che poco tempo prima ci aveva fatto più di 40 punti, semplicemente una volta che ci siamo sbloccati non ci ha fermati più nessuno.
Eppure tutti i pronostici vi davano per sfavoriti, addirittura dalla Gran Bretagna dicevano che non eravate degni di rappresentare l’emisfero nord. Cosa hai pensato?
Me l’hanno detto, di solito non guardo queste cose. Onestamente non mi interessa, penso siano robe buone per fare clickbaiting così il frustrato di turno può dire “ah loro non lo meritano”. Valgono più i fatti delle parole, e i fatti hanno dimostrato che non solo eravamo all’altezza ma li abbiamo anche battuti bene. Quando perdi c’è un motivo e quando vinci c’è un motivo, soprattutto se il risultato è netto come in questo caso. Mi dispiace anche per loro perché sono dei bravissimi ragazzi, ma da rugbista, se perdo una partita nettamente non posso fare altro che riconoscere che l’altra squadra è stata più forte, e noi abbiamo dimostrato di esserlo.
Com’è stato ritornare a giocare con il pubblico? Vi ha aiutato?
Per me è stata la partita perfetta: la mia famiglia, i tifosi, una finale come ultima partita a Treviso. È stato qualcosa di unico. Durante la settimana però non ci abbiamo pensato molto, ci siamo concentrati solo su noi stessi e sulle cose che dovevamo fare in campo. Questa cosa ci ha permesso di andare in campo e fare una partita dove eravamo sicuri al 100% delle cose che dovevamo fare
Gli infortuni in prima linea hanno costretto te, Gallo, Alongi e Nemer a tirare la carretta per tutta la Rainbow Cup. È stata dura dover giocare tutte le partite?
Il fatto di giocare tanto è stato un po’ stressante a livello fisico, però siamo riusciti a portare a casa bene tutte le partite. Penso però che ragazzi come Pippo, Thomas e Ivan siano in grande crescita e facciano già adesso partite di livello. Chiaramente sono molto giovani e non dobbiamo mai scordarcelo, hanno davanti a loro ancora quei 2 anni in cui devono acquisire esperienza, e anche in finale si sono comportati benissimo nonostante i Bulls davanti fossero molto forti.
E adesso arrivano i Saracens. Cosa ti aspetti e quale obiettivo ti poni?
Sono una persona che si pone gli obiettivi durante il pre-stagione, perché voglio capire come sto e come mi sento. Sicuramente per me ci sono tanti nuovi stimoli, è una cosa di cui avevo bisogno e ne parlavo anche con i ragazzi quando ho detto loro della mia scelta di andare ai Saracens. A Treviso mi trovo benissimo e ci rimarrei per tutta la vita, perché la società in questi anni ha fatto veramente molto bene. Sono una persona però che ha bisogno di nuovi stimoli, un po’ come fai in nazionale quando ti confronti con persone al tuo livello e a un livello anche più alto. Andare ai Saracens è l’occasione per lavorare con gente abituata a un determinato tipo di standard a livello internazionale: ho bisogno di un po’ di “pepe al c*lo” (ride, n.d.r.) per migliorarmi come giocatore e come persona.
Poi vai via da vincente, e questo non fa mai male…
Mai (ride, n.d.r.)
In nazionale troverai comunque una continuità, ritrovando il gruppo di Treviso e ora anche Kieran Crowley…
Lo dicevo anche oggi con i ragazzi qui a Pergine. È un’occasione per poterci vedere e stare insieme, anche perché qui ho grandi amici come Marco Zanon, Fischio (Fischetti n.d.r.), Zilo (Zilocchi n.d.r.) e non nascondo che un po’ mi mancheranno, faccio un po’ lo sdolcinato. Il fatto di trovare Kieran qui mi mette molta serenità, perché ho visto come a Treviso è riuscito a prendere una squadra con problemi di risultati e a portarla ai playoff di Pro14 e a vincere la Rainbow Cup. Penso che lui sia la persona giusta per il momento che sta vivendo la nazionale. Un allenatore così è solo un bene e ci dà ancora più voglia di iniziare un percorso con lui.
Francesco Palma
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