Abbiamo parlato con la 20enne flanker azzurra pesarese, dopo il trionfo in Elite 1
A 20 anni compiuti da poco (lo scorso 7 gennaio), Francesca Sgorbini può già vantare un palmares da far invidia, con in bacheca un titolo nazionale vinto da protagonista sia in Italia che in Francia, oltre a 7 presenze in maglia azzurra (con cui ha giocato tre gare al recente Sei Nazioni 2021). Allo Scudetto conquistato nella stagione d’esordio con le Furie Rosse (’17/’18, sotto la guida di Cristian Prestera) del Colorno, infatti, si è aggiunto nel weekend – anche questa volta nella prima annata agonistica con il nuovo club – il successo nell’Elite 1 femenine, massimo campionato transalpino e tra i più competitivi al mondo, a suon di prestazione di eccellente solidità (con tanto di pacche sulle spalle da parte di Annick Hayraud, CT francese), tra le fila dell’ASM Romagnat, sezione femminile del Clermont-Auvergne, uno dei colossi del Top14.
Quando la raggiungiamo telefonicamente, a distanza di 48 ore dallo straordinario trionfo del suo Romagnat in finale di Elite 1 contro Blagnac, la giovane flanker pesarese ’01 della Nazionale azzurra, è ancora senza voce, dopo la baldoria delle ultime ore. La festa, però, per le vie di Romagnat (paesino a ridosso di Clermont che “vive di rugby”) è appena cominciata e durerà per tutta la settimana, a sublimare un trionfo sul campo che nell’Alvernia mancava dal bis dell’ormai lontano biennio (1994 e 1995, primo ed ultimo titolo nella storia del club, sino a domenica).
“Per il paesino (circa 8000mila abitanti), la squadra è un simbolo di grande importanza. Per rendere l’idea, nonostante tutti i problemi logistici legati al momento, sono arrivati in più di 300 tifosi in giallo, a Tolosa, per seguire il match e farci sentire la loro vicinanza”.
Questione culturale
“Ma più in generale, in Francia, anche nei grandi centri come Clermont (dove Sgorbini vive, ndr), c’è enorme rispetto, stima ed attenzione per quanto concerne il rugby femminile a 360 gradi, ancor più per quello d’Elite. Capita addirittura di essere riconosciute e fermate per strada, ed è un qualcosa che fa immenso piacere. Sin dal primissimo giorno in cui sono arrivata, la scorsa estate, mi sono resa conto della diversa percezione della gente nei nostri confronti, ed è stupendo”, ci racconta Francesca, il cui entusiasmo è inversamente proporzionale al filo di voce che conserva.
Voce scomparsa, come detto, dopo il fischio conclusivo della finale, finita trionfalmente che, tuttavia, stava per iniziare con condizioni non ideali. “Nel riscaldamento, un diluvio universale si è preso la scena. Temevo potesse rovinare un po’ partita e spettacolo. Quando il clima è pessimo, onestamente, non è mai il massimo giocare una partita decisiva. Fortunatamente, però, la pioggia si è placata (sorride, ndr)”.
Dopo un bel sospiro di sollievo, il sipario su Blagnac-Romagnat si è alzato, e lo spettacolo andato in scena, con una splendida cornice di pubblico è stato degno di un test match. “La partita è stata equilibratissima, come testimonia anche lo 0-0 alla pausa lunga. Grande ritmo ed intensità, ma anche fisiologici errori e tensione alle stelle. Quando abbiamo marcato la prima meta, però, abbiamo preso in mano la partita dal punto di vista emotivo, e anche se abbiamo giocato in inferiorità numerica, sapevo che avremmo vinto (13-8, il finale, ndr). La chiave vincente di questa stagione e anche della partita, per me, è legata al livello omogeneo, tendente verso l’alto, di tutto il gruppo. I cambi sono entrati ed hanno mantenuto la qualità della nostra prestazione su standard stellari”.
La partita integrale
Il pinnacolo emozionale di una stagione che tra tanti alti e qualche basso, per Sgorbini ha avuto quattro passaggi chiave.
“Il primo è rappresentato dall’adattamento delle prime settimane. Non parlavo la lingua, conoscevo pochissime persone ed ero in una realtà totalmente nuova. Grazie al sostegno di Marta (Ferrari, ndr) e Sara (Tounesi, ndr), però, ed all’accoglienza straordinaria di tutto l’ambiente, ho superato presto questo genere di ostacolo, proiettandomi sui miei obiettivi”.
“Il secondo è stato la prima grande vittoria dell’anno, a gennaio, contro Bobigny. Ho patito il primo infortunio serio della mia carriera, alla spalla. Quindi, da un lato ero preoccupata per la mia salute in quel momento, ma dall’altro, da fuori, avevo visto in campo una grande squadra. Per la prima volta mi son detta che avremmo anche potuto vincere il campionato. Il terzo ed il quarto, ovviamente, sono legati alle fasi finali. Prima la semifinale contro le campionesse in carica di Montpellier, ricche di internazionali francesi (a Romagnat, invece, solo 5 internazionali, ndr), ma sconfitte con una grande prestazione, che ci ha dato una carica ed una convinzione esagerata. E poi il titolo contro Blagnac, il momento più bello, quello del trionfo e della realizzazione del nostro sogno, della concretizzazione di tutto il lavoro e di tutti i sacrifici negli ultimi 12 mesi”.
La forza del gruppo
Anche e forse soprattutto grazie ad un gruppo oltremodo unito e saldo in campo. Un feeling speciale creatosi, stando agli osservatori francesi, dentro e fuori dal campo, grazie al lavoro a 360 gradi dello staff (due allenatori, un team di preparatori, un Video-Analista ad hoc, ed un fisioterapista) sia sul piano della preparazione tecnico-tattico-fisica della squadra che per quanto concerne l’unione speciale del gruppo.
“Comunque vada, sono orgoglioso di voi – per tutto quello che avete fatto -, come se foste mie figlie”, ha detto Fabrice Ribeyrolles, head coach – coadiuvato dall’assistente Vincent Fargeas – prima della semifinale, racconta ancora con i brividi in questo caso Sgorbini.
“Per un coach del genere, in grado di darti tutto quello che ha sul piano ovale, ma anche di emozionarti e farti sentire apprezzata su quello umano, scendi in campo e dai veramente tutto quello che hai”.
Un’unione favorita anche dall’attenzione speciale della società nei confronti della sezione femminile. “L’ASM ci è stata vicina in stagione, e nelle ultime settimane diversi dirigenti del club erano spesso a vedere gli allenamenti “. Una società solida, con un know-how di primo livello mondiale nel mondo del rugby, che punta su formazione professionale e crescita umana degli individui, parallelamente al percorso sportivo. “Per l’ASM la cosa principale oltre al rugby è lo studio. Non pagano nessuna giocatrice – nemmeno Jessy Tremouliere, atleta del decennio per World Rugby, persona squisita che contemporaneamente al rugby manda avanti l’attività di famiglia (una grande fattoria bio) con il padre – in quanto tale.
“Nessuna ha uno stipendio o qualcosa di smile. Non si è professioniste (ad eccezione di chi ha un contratto semipro con la selezione nazionale), per come lo si può intendere in Italia. Ed il fatto di essere tutte sullo stesso piano, da questo punto di vista, aiuta a mantenere l’armonia nello spogliatoio”.
“Ma il club finanzia tutte le spese legate allo studio, ed aiuta le atlete internazionali nella gestione della loro vita scolastica. Ad esempio, se devo stare via due mesi per il Sei Nazioni, a tutta la parte burocratica con la segreteria, e a reimpostare frequenze/esami e quant’altro pensa il club. Tu devi solo pensare a studiare. In più, come accennato prima, ti mettono a disposizione staff e strutture di grande qualità. A Romagnat abbiamo tre campi (due in erba e uno sintetico) tutto per noi, per far fruttare al meglio la profondità della rosa (siamo un’ottantina di ragazze, tra prima e seconda squadra)”.
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Chissà che il titolo 2021 non rappresenti solo un traguardo estemporaneo, ma anche l’apertura di un ciclo, per Romagnat e Sgorbini.
“E’ solo l’inizio, perché in Francia mi sono trovata benissimo, anche oltre le aspettative più rosee della scorsa estate. L’ASM è diventata, nel giro di poco, una seconda famiglia”.
“Voglio proseguire qui il mio percorso ovale in un torneo e in un contesto di livello altissimo ed iniziare, dopo aver frequentato una scuola di francese in questa stagione, anche quello accademico. A partire da settembre, quando inizierò una scuola propedeutica ad infermieristica”.
E dell’Italia non le manca nulla, o quasi: “Beh, forse il cibo del belpaese mi manca. Il prosciutto… (sorride, dopo averci riflettuto, ndr)”.
Anche perché un pizzico di Stivale, in realtà, è sempre con lei.
“La mia famiglia, in maniera persino incredibile, riesce ad essere sempre al mio fianco, come accadeva pure a Colorno, nonostante ora sia ad oltre 1000 km da casa. Si son fatti due volte Pesaro-Tolosa (andata e ritorno) in macchina a distanza di sette giorni pur di vivere con me questi momenti magici, e in più ho al mio fianco due compagne speciali.
“Sono grata di poter condividere questa avventura con Marta e Sara. La prima, giunta quest’anno in squadra da Rennais, è stata una piacevole sorpresa. Non la conoscevo personalmente, prima di Romagnat, ma è stata speciale nel rendersi sempre disponibile soprattutto nei primi tempo, è una persona squisita. E’ stato un onore condividere la sua ultima partita in carriera – Ferrari si è ritirata, come ci aveva raccontato la scorsa settimana -, con tanto di trionfo”.
“Con Sara, compagna di mille battaglie anche a Colorno, invece, credo che ormai ci sia un’affinità speciale sul campo. Un qualcosa che non troverò mai con altre: conosco il suo gioco come nessun altro, e vale il viceversa. Questo fa la differenza, come si è visto nella prima meta della semifinale, e nella mia prima azione in maglia azzurra nel Sei Nazioni 2019. Quando sono in campo assieme a lei, mi sento tranquilla. E poi ci divertiamo, sempre con positività e costrutto”.
Già, al punto che i coach, addirittura le “hanno ringraziate, per la spensieratezza e la gioia che abbiamo portato nello spogliatoio “. Insomma, vive l’Italie e le sue alfiere.
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