L’estremo australiano torna al rugby a 15 dopo due anni di assenza e il licenziamento da parte della federazione
Eravamo rimasti al 2019, quando – a 5 mesi dal mondiale – Israel Folau fu licenziato dalla federazione australiana in seguito a un post sui social network nel quale aveva puntato il dito contro i «peccatori alcolizzati, omosessuali, adulteri, bugiardi, fornicatori, ladri, atei e idolatri», invitandoli al «pentimento per evitare l’inferno». Le parole dell’estremo australiano avevano fatto il giro del mondo e Rugby Australia aveva immediatamente preso provvedimenti, rescindendo il contratto ed escludendolo dalla nazionale che avrebbe poi affrontato la Rugby World Cup in Giappone. Da lì è iniziato un contenzioso legale durato 8 mesi e conclusosi nel dicembre del 2019 con un accordo riservato con la federazione australiana. Da lì, il ritorno al Rugby League con i Catalan Dragons e un altro scontro legale per poter poi tornare in Australia con i Southport Tigers.
Per Folau però, è arrivata la possibilità di tornare al Rugby Union con la NNT Communication, squadra giapponese di Top League. L’estremo manca dal rugby a 15 proprio dal 2019, quando – prima del licenziamento – aveva raccolto 96 presenze e 300 punti con la maglia dei Waratahs, vincendo anche il Super Rugby nel 2014. Folau si unirà al club giapponese a settembre (quindi potrebbe ancora giocare con i Tigers in questi mesi) e ha firmato un contratto economicamente di gran lunga inferiore rispetto a quanto percepiva in Australia. Inoltre, secondo The Guardian nel contratto sono previste delle restrizioni molto rigide sull’uso dei social da parte del giocatore.
In teoria, secondo la Legge Giteau sugli overseas (che rende possibile la convocazione per gli atleti impiegati all’estero con più di 60 caps e almeno 7 stagioni nel Super Rugby) Folau potrebbe anche essere riconvocato in nazionale, in virtù delle sue 73 presenze con i Wallabies, ma dopo quanto successo è molto difficile che possano riaprirsi spazi nella selezione di Dave Rennie.
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