Cosa dareste per partecipare ad una Coppa del Mondo? I portoghesi, per arrivarci, hanno sporcato la loro fedina penale. Non se ne sono mai pentiti.
L’Anonima Piloni vi racconta di quando la Nazionale Portoghese riuscì a qualificarsi alla Coppa del Mondo del 2007. Tra notti in gattabuia, partite di calcio e terzi tempi analcolici.
“Señores, quella è la strada per l’aeroporto. Siete pregati, non appena lascerete questo posto, di percorrerla, di prendere il primo aereo per ovunque sia casa vostra e di non farvi mai più vedere. Gracias.” Fine di un incubo. Non deve essere il massimo il carcere di Montevideo come ostello per la notte. Senza valigie, senza borsoni, senza effetti personali. Qualcuno la butta in ridere, qualcuno è preoccupato, qualcun altro è già pronto al cazziatone del giorno dopo. Nel dubbio nessuno dimenticherà quelle ore. Liberi tutti, fine di un incubo. E inizio di un sogno.
Perché in Uruguay non l’hanno presa benissimo che un manipolo di ingegneri, veterinari e studenti portoghesi abbiano eliminato Los Teros. E forse hanno preso ancora peggio i festeggiamenti e l’euforia dei Lobos, dei Lupi portoghesi, ebbri di gioia per la storia appena riscritta. Nel dubbio hanno sbattuto dentro per la notte quelli che avevano il gomito più in alto, niente di eclatante, ma in fondo anche questo è un modo come un altro di prendersi una soddisfazione. E poi è un volo. Doppio, se possibile. Il primo si ferma a Lisbona, il secondo va un po’ più a nord, in Francia, dove la Nazionale Portoghese si giocherà la Coppa del Mondo del 2007. La prima della loro storia. Al momento l’unica, ma non per questo dimenticata. O dimenticabile.
Occhio però, il Portogallo il Mondiale se l’è meritato tutto. Nel 2004 vince il Sei Nazioni B battendo al fotofinish la Romania e prendendosi un po’ di soddisfazioni in giro per l’Europa. Batte i romeni, i Lelos, che non sono quelli di oggi ma che non si sono mai fatti trovare dimessi con una palla ovale in mano. Il merito è di Antonio Aguilar, ala di Tarbes, di Gonçalo Malheiro, apertura e recordman di punti in Nazionale, in giro per cantieri durante la settimana per portare a casa lo stipendio di capocantiere. Di Rui Cordeiro, pilone di 130 chili (su una sola gamba, forse) che fa il veterinario, e sarebbe bello vederlo alle prese con un canarino. Il commissario tecnico, Tomas Morais, capisce fin da subito una cosa: se si vuole fare qualcosa di significativo nel rugby a 15 bisogna attingere il più possibile dal Seven, specialità in cui i portoghesi sanno il fatto loro.
Georgia e Romania, molto più ferrate quando è ora di oliare i cingoli lì davanti, lo capiscono al volo e nell’edizione successiva del torneo mettono sotto i Lupi. Poco male, direte, si riprova l’anno successivo. No, quella non è un’edizione come le altre. È quella che precede la Coppa del Mondo, non si può perdere il treno. Anche perché il Portogallo di Morais, nel 2006, sta già cominciando la sua parabola discendente. È vero, stanno crescendo Pedro Leal e Pedro Cabral, due giovani utility back. Sta dando il suo meglio Diogo Mateus, che nel 2006 andrà al Munster e diventerà (per poco) il giocatore portoghese più pagato di sempre. E deve ancora debuttare Julien Bardy, terza linea francese di madre portoghese, il lusitano più forte mai apparso nel gotha ovale. Ma il gruppo vittorioso nel 2004 comincia a sentire il peso dell’età. E allora bisogna prendere il treno. Lungo e tortuoso, ormai, ma se si vuole andare in Francia non ci sono altri modi.
La prima tappa è L’Aquila, ci si ferma allo Stadio Fattori. Il Portogallo viene inserito in un gruppetto a tre con Russia e Italia, la prima classificata va direttamente alla Coppa del Mondo. La seconda prosegue il suo cammino. Contro gli azzurri non possono giocare Murré, Vargas e Acosta, argentini ancora sprovvisti di visto. E non può giocare nemmeno Cabral, che si è rotto una gamba in un test match di preparazione. E se gli uomini di Morais avevano sofferto i primi otto uomini di Romania e Georgia immaginatevi cosa può succedere contro il pack italiano di allora. È un massacro, finisce 83 a 0. Non va molto meglio alla Russia, che ne prende 67 dagli azzurri. Si decide tutto quindi a Lisbona, con i portoghesi che vincono 26 a 23 e continuano a sperare. La seconda tappa, dopo L’Aquila, è Tbilisi. La Georgia è arrivata seconda nell’altro girone di qualificazione, chi vince il doppio confronto si qualifica come “Europa 3”. I Lelos vincono in casa e pareggiano in Portogallo, passano loro.
E allora resta un solo biglietto.
Lo scontro finale i Lupi se lo guadagnano dopo una caldissima doppia sfida contro il Marocco, vincitore a Casablanca ma incapace di recuperare i 5 punti con cui avevano perso a Lisbona.
Italia, Georgia, Marocco.
E poi Uruguay. I Los Teros attendono.
La Celeste ovale è una squadra che sa già come arrivare alla Coppa del Mondo, ha uomini scafati come Lemoine, Crosa, Menchaca. Sono forti e pronti, ma a Lisbona perdono 12 a 5. Si giocano tutto in casa, al Parque Central di Montevideo, ma tutta la loro esperienza si infrange sul cartellino rosso comminato a Bado nel primo tempo. E sul piede di Duarte Pinto, cinico quanto basta per tenere i suoi in scia. A venti minuti dal termine il punteggio dice 18 a 12, il Portogallo sarebbe ancora avanti, all’Uruguay basterebbe un calcio, un drop, quello che volete, tutte cose che negli ultimi venti minuti una squadra più forte trova il modo di compiere. Ma non succede più niente, i Lobos sono ai Mondiali.
Segue un terzo tempo più lungo del previsto e una nottata diversa dal solito per quelli più euforici. Giù nelle carceri della capitale. Non male davvero come ostello per la notte. “Señores, quella è la strada per l’aeroporto. Siete pregati, non appena lascerete questo posto, di percorrerla, di prendere il primo aereo per ovunque sia casa vostra e di non farvi mai più vedere. Gracias.” Si si, se ne vanno. Eccome se se ne vanno. Prima a Lisbona, poi in Francia.
Il girone non è dei più facili, ma solo perché ci piacciono tanto gli eufemismi. Nell’ordine si devono affrontare Scozia, All Blacks, Italia e Romania.
Mettiamola così, potrebbe andare peggio.
Potrebbe piovere.
I portoghesi si scontrano ben presto con il rugby di un certo livello: gli scozzesi non sono al loro massimo storico, ma non hanno difficoltà ad imporre il loro gioco. Non è che manchino placcaggi e difesa, è proprio questione di cilindrate diverse. Dan Parks è un mediano nemmeno particolarmente stazzato, ma saranno materiali tecnici diversi, saranno le preparazioni fisiche ad essere più o meno mirate, sta di fatto che sembra veramente l’armadio dove potrebbe nascondersi qualche portoghese. Ad un certo punto però Duarte Pinto libera Pedro Carvalho in pieni 22 scozzesi. È meta e lo stadio fatica a non scricchiolare. D’altronde in Francia ci sono circa 750000 abitanti di origine lusitana, volete che qualcuno non si sia infilato lì dentro a sventolare la bandiera delle radici? Finisce 56 a 10, potrebbe finire anche peggio non fosse per qualche eroismo degli uomini di Morais. La settimana successiva tocca agli All Blacks, che non schierano i migliori. Si, va bene, ma chi li ha mai visti dal vivo personaggi come i cugini Rokocoko e Sivivatu, Nick Evans, Tialata? Carl Hayman? I primi 5 minuti sono interminabili, i Lupi sanno che capiterà, ma fanno di tutto per non far segnare quei mostri. Poi gli argini si rompono, ma non come tutti si aspettano. Fanno subito due mete, ma dall’altra parte non si arrende nessuno. Malheiro prova due volte il drop, il secondo entra, e provate a chiedergli se valgono più quei tre punti o tutti gli altri quasi 300 segnati in Nazionale. In tanti farebbero la firma per essere sotto di soli 9 punti alla mezz’ora contro gli All Blacks, ma dura poco. Segnano 40 punti prima della fine del tempo e chiudono a doppia mandata ogni possibile utopia.
Non proprio tutte.
I portoghesi ad inizio ripresa conquistano un pallone vagante nei 22 avversari. I tuttineri non se l’aspettano e perdono terreno. Contestano, sembra questione di tempo, sono più forti. Si, certo, andatelo a spiegare a Rui Cordeiro, che si dimentica di tutto il suo quotidiano tatto nel curare gli animali e sfonda il muro neozelandese. Andate a prendergli la palla lì sotto, fanno 130 chili IVA assolta. È meta. Gli All Blacks ne segneranno altre 8, deborderanno sopra quota 100, poi porteranno le birre nello spogliatoio, con il succitato Cordeiro, astemio, che rimanda al mittente Carl Hayman, costretto a tornare con qualcosa di analcolico. Chissà se lo racconta ancora in giro.
No, non è cosa per il Portogallo alla Coppa del Mondo, anche se sfioreranno la vittoria contro la Romania. Ma a dire il vero contro gli All Blacks i Lobos si tolgono una bella soddisfazione: a stadio sfollato, con solo i giocatori non impegnati nel match ad allenarsi, spunta un pallone rotondo. Sguardi d’intesa, comincia la sfida più surreale del torneo: da una parte i titolarissimi neozelandesi, McCaw e Carter in testa, dall’altra le riserve portoghesi. Titolari contro riserve, maglie tecniche contro cotone ignorante. Vanno in vantaggio i neri, ma i portoghesi rimontano con Pedro Cabral, che segna due gol e fa sfigurare Richie McCaw, non propriamente a suo agio quando la palla rimbalza regolare. L’unico dei neri a non sfigurare è Daniel Carter. Grazie, se a quello domani mattina date una racchetta è capace di non sfigurare a Wimbledon. Finisce 3 a 1, tra gli applausi dei pochi spettatori rimasti e le risate degli altri giocatori rimasti a guardare. Quelli che hanno attraversato Italia, Georgia e Marocco, quelli che hanno abitato le carceri uruguaiane. Quelli che hanno preso 100 e passa punti dagli All Blacks. Che si sono fatti riconoscere, su e giù per il mondo. Quelli che hanno sfidato Golia e hanno perso. Senza però rinunciare ad una birra con l’avversario.
O a far scoprire a Carl Hayman che esistono piloni analcolici. Mica male eh.
Cristian Lovisetto – Anonima Piloni
Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.
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