La RFU annuncia di voler aiutare la nazionale isolana, ma finisce per essere offensiva e paternalista
La federazione inglese ha annunciato nella giornata di martedì di aver raggiunto un accordo per portare la nazionale di Tonga a giocare a Londra il prossimo novembre.
L’incontro è previsto a Twickenham per sabato 6, e nei fine settimana successivi la squadra di Eddie Jones sfiderà l’Australia e il Sudafrica.
Il comunicato della Rugby Football Union, però, ha una chiusura particolare: “In aggiunta al gesto di buona volontà di operare una donazione nei confronti di Tonga per la partita, la federazione inglese sta lavorando con World Rugby e la federazione tongana per mettere a disposizione delle risorse di personale a loro disposizione.”
L’ex giocatore samoano, oggi attivista per la promozione e la difesa dei diritti dei rugbisti isolani, Daniel Leo ha sottolineato come la formula di operare una donazione non significhi altro, come successo già altre volte in passato, fornire alla nazionale tongana materiale da gioco.
Absolute Bull Shit @EnglandRugby this being lablled a ‘gesture of goodwill’ (another word for cheap handout!) rather than a ‘profit/revenue share’
Especially being privy to the reality of the money involved- not even the equivalent of what ENG pay 3 of their players 🤦🏽♂️ https://t.co/eyfn0ALvXS
— Daniel Leo (@danleo82) July 22, 2021
Questo mentre l’Inghilterra aprirà prevedibilmente Twickenham almeno parzialmente e guadagnerà il 100% dei proventi del ticketing dell’evento e la stragrande maggioranza delle risorse economiche generate dall’evento.
Quella di una più equa suddivisione dei proventi dai test matches è uno degli argomenti più delicati e meno all’ordine del giorno del rugby internazionale. Le partite di novembre sono spesso uno degli eventi maggiormente trainanti per il pubblico e generano ingenti risorse che vanno a costituire una importante base per i bilanci delle federazioni.
Peccato che alle squadre che vengano ospitate rimangano delle briciole, specie se non sono consistenti come All Blacks o Springboks, che possono contare su una vendita in patria di diritti televisivi di grande rilevanza, ma piccoli paesi come Tonga e Samoa.
Se il rugby internazionale vuole allargare il proprio bacino, mantenendo al tempo stesso la sua identità tradizionale che è fatta anche dall’avere questi piccoli paesi dell’Oceano Pacifico fra i protagonisti, c’è qualcosa da fare per evitare gli slanci paternalistici di una beneficienza solo di facciata e dare il giusto compenso ai giocatori che vengono a svolgere la propria attività con la stessa identica dignità dei propri colleghi britannici. E non dovrebbe essere neanche il caso di sottolinearlo.
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