Chiudono le accademie, nonostante tutto

Un sistema di formazione che ha tardato ad entrare in funzione, ma che proprio nell’ultimo lustro ha iniziato a mostrare risultati

Un allenamento fra l’Accademia Nazionale e il Benetton Rugby

Sono passate meno di due settimane dal termine del Sei Nazioni under 20. A Cardiff, dove si è disputato per intero il Torneo, l’Italia capitanata da Luca Andreani e allenata da Massimo Brunello, Agustín Cavalieri e Mattia Dolcetto ha centrato un quinto posto che finisce per starle stretto.

La nazionale giovanile è arrivata appena corta nei risultati: ha offerto una brutta prova nella prima giornata contro un Galles rispetto al quale ha poi dimostrato di avere un po’ di talento in più, non è riuscita a portare a casa nessuna delle due gare che avrebbero potuto essere una grande affermazione di valore contro Francia e Irlanda, e può addirittura rammaricarsi per qualche sbavatura di troppo contro i pari età inglesi che hanno vinto il Grande Slam in una partita che a un certo punto i nostri han giocato per vincere.

Leggi anche: Italia Under 20: Cosa resta di questo Sei Nazioni?

In definitiva, però, nessuno che abbia visto gli incontri disputati dalla nazionale giovanile può negare che i nostri ragazzi giochino bene e che anche a livello di individualità sono scesi in campo diversi giocatori che non hanno nulla da invidiare ai pari età delle altre cinque avversarie.

Un vero peccato che un’intera generazione di giocatori, forse la migliore prodotta dalle nazionali giovanili italiane, non avrà l’opportunità di giocare il World Rugby under 20 Championship, l’annuale mondiale di categoria saltato per due anni consecutivi. I giocatori nati nel 2000 e nel 2001 cresceranno senza questo prezioso bagaglio di esperienza.

Poche altre volte, in ogni caso, una nostra under 20 è sembrata così piena di giocatori con il potenziale per poter arrivare in franchigia, cosa che poi è puntualmente accaduta: in un modo o nell’altro, nella prossima stagione, Lorenzo Cannone, Filippo Drago, Alessandro Garbisi, Leonardo Marin, Tommaso Menoncello, Lorenzo Pani, Nicola Piantella e Matteo Meggiato (che ha saltato il Sei Nazioni per infortunio) faranno parte della rosa del Benetton (senza dimenticare che Riccardo Favretto ha già una stagione di Pro14 alle spalle a 20 anni) e Ion Neculai e Luca Andreani saranno alle Zebre.

Dieci giovani passati direttamente alle franchigie: un numero simile a quello della classe 1997/1998, l’under 20 che oggi vanta il maggior numero di rappresentanti fra Zebre e Benetton, e superiore a quello del 1998/1999, l’under 20 che ha ottenuto i migliori risultati di sempre con un quarto posto al Sei Nazioni e un ottavo al mondiale giovanile.

Una ventata di gioventù senza precedenti, quindi, spinta verso l’alto livello anche dall’azione della Federazione Italiana Rugby che su questo tema ha però operato scelte apparentemente contrastanti. Da una parte premendo per un’accelerazione nel coinvolgimento dei migliori giovani direttamente nel massimo livello del rugby italiano, una mossa da lungo attesa rispetto a un passato dove veniva privilegiato uno spesso infruttuoso transito dal campionato domestico, dall’altra ha iniziato a smembrare un sistema di formazione che, senza niente togliere ai meriti individuali dei singoli giocatori, è uno dei maggiori responsabili del fiorire delle nuove generazioni del rugby italiano.

L’Accademia Nazionale Ivan Francescato è in fase di spostamento e andrà verosimilmente verso la chiusura, mentre i quattro Centri di Formazione di Roma, Milano, Treviso e Prato andranno ad esaurire la propria attività nella stagione 2021/2022 e quindi chiusi la prossima estate, stando a quanto dichiarato dal presidente federale Marzio Innocenti in occasione della recente conferenza stampa nella quale ha fatto il punto dei suoi primi 100 giorni alla guida della FIR.

Pur riconoscendo che il sistema di formazione federale ha impiegato troppi anni a entrare a regime e ad essere efficace nello sviluppo dei giovani dei centri di formazione e della Accademia Nazionale, non si può non riconoscere che nelle ultime annate siano emersi risultati sia dal punto di vista ristretto delle vittorie sul campo che da quello più largo della qualità dei giocatori prodotti, come anche riconosciuto negli ambienti delle franchigie, che hanno deciso di puntare in maniera via via più decisa, anche nelle scorse stagioni, sui giovani in uscita dal sistema di formazione federale. Forse l’idea di smantellare, piuttosto che migliorare, una filiera che sta finalmente producendo frutti potrebbe essere rischiosa.

Riaffidare ai club la formazione dei talenti e privare i ragazzi di un’esperienza che per tanti aspetti gli fa già respirare un’aria simile a quella del professionismo, vivendo in un gruppo, allenandosi per la maggior parte del tempo con giocatori di pari livello, venendo assistiti da uno staff non solo tecnico, ma anche fatto di preparatori atletici, medici e fisioterapisti dedicati, potrebbe privarli di certi stimoli e vantaggi tecnici, fisici e mentali che ad oggi fanno la differenza fra un giocatore passato per le accademie e chi cresce al club.

“I molti soldi che costavano i centri di formazione e l’Accademia saranno ora utilizzati per fare formazione nei club. Le società riceveranno dei parametri in termini di strutture necessarie e obiettivi da raggiungere e i ragazzi dovranno raggiungere determinati risultati” ha detto Innocenti sul tema. Il proposito è quello di allargare il numero dei giocatori coinvolti innalzando le capacità di formazione dei club grazie al lavoro e al know how attualmente presente nei ranghi federali, accompagnando a ciò l’impiego di risorse economiche per eventuali adeguamenti strutturali.

La federazione italiana ha più di un anno di tempo per rendere più chiari e definiti i margini di una manovra che è la più importante e decisiva fra quelle pianificate finora dalla nuova amministrazione, ma alcuni dubbi bussano già alla porta. Per quanto aiutati e indirizzati dai tecnici federali, quanti club sarebbero attualmente in grado di fare un lavoro pari a quello dei centri di formazione? E quanto tempo siamo disposti ad aspettare prima che un eventuale sistema alternativo entri pienamente a regime per riprendere il cammino dal punto in cui ci troviamo?

Lorenzo Calamai

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