Tommaso Castello a OnRugby: «Ci riprovo ancora, o la va o la spacca»

Dopo due anni e mezzo di stop, il centro delle Zebre ha raccontato a OnRugby il suo percorso di riabilitazione, con la speranza di tornare in campo il prima possibile

Tommaso Castello a OnRugby: «Ci riprovo ancora, o la va o la spacca» (Ph. Sebastiano Pessina)

Tommaso Castello a OnRugby: «Ci riprovo ancora, o la va o la spacca» (ph. Sebastiano Pessina)

Dire che questi due anni e mezzo siano stati difficili è quasi riduttivo, ma Tommaso Castello ha continuato a provarci e a riprovarci: questa sembra essere l’occasione buona per tornare in campo, e il centro delle Zebre e della nazionale (18 caps per lui, l’ultimo proprio in quella maledetta serata di Twickenham in cui si infortunò) ha deciso di raccontare ad OnRugby le sue sensazioni e le sue ambizioni per il futuro.

Ciao Tommaso, innanzitutto: come stai?

Tralasciando per un attimo il problema alla caviglia, fisicamente mi sento davvero in forma. In questi due anni e mezzo ho dovuto fare i conti con un impedimento oggettivo che non mi ha permesso di allenarmi con costanza. Grazie alle Zebre ho avuto la possibilità di prendermi un po’ di tempo per pensare a 360° alla mia vita e alla mia carriera, da parte loro c’è sempre stata il massimo della fiducia, sia con la vecchia gestione sia col rinnovo del consiglio direttivo, quindi non posso che ringraziarli. Mi sto allenando a parte ma sto facendo anche delle sessioni con la squadra, e devo dire che questo è il momento in cui mi sento meglio da quando mi sono fatto male.

Hai già in mente una data di rientro?

Quando mi sono operato non ho pensato a una data precisa, ho deciso di “navigare a vista” e vedere come andavano le cose. Il percorso che ho fatto fin qui è ovviamente mirato a farmi tornare in campo: non voglio sbilanciarmi sulla data ma sicuramente è qualcosa di non lontanissimo, spero fra un paio di mesi.

Immagino siano state tante le volte in cui hai pensato di mollare tutto…

Assolutamente. A dicembre dello scorso anno avevo deciso di smettere, avevo provato ad allenarmi e non era andata bene. Si sono alternati momenti di positività e di sconforto, ma fortunatamente negli ultimi mesi la confidenza è cresciuta, anche se non c’è ancora la “prova” del campo. Non voglio essere l’ombra di me stesso, voglio tornare in campo nelle condizioni giuste per farlo. Sono seguito al meglio sia dalle Zebre sia da Silvano Garbin che è la persona con la quale ho ricominciato il percorso riabilitativo, e adesso anche dal punto di vista del morale non sono mai stato meglio. Forse mi sto esaltando troppo e dovrei essere meno “gasato”, ma sto avendo delle risposte molto buone sia dalla caviglia sia dal resto.

È ovvio che quando ti rendi conto di star uscendo dal tunnel la carica aumenta.

Esatto, sono davvero molto carico e spero sia la volta buona. È l’ultima volta che ci provo: o la va o la spacca. Mentalmente sono pronto ad accettare qualsiasi tipo di esito, sto vivendo una “seconda vita”: avevo deciso di smettere e ho avuto l’opportunità di riprovarci. Se tornerò in campo sarò la persona più felice del mondo, se non dovessi riuscirci saprò di aver fatto tutto quello che potevo e non avrò rimpianti. Prima vivevo male questo non riuscire a ritornare in campo, adesso sono sereno.

Anche i tifosi e gli appassionati non ti hanno mai abbandonato. Ti ha aiutato vedere tutto questo supporto?

Senz’altro, mi ha fatto molto piacere ricevere tutta questa considerazione da parte dei miei compagni, i tifosi e tutte le persone che mi conoscono e in questi due anni e mezzo sono state sempre presente. Se riuscirò a tornare sarà anche merito di queste persone che non mi hanno mai abbandonato e mi hanno aiutato psicologicamente.

Parlando di rugby giocato, come vedi questa nuova stagione delle Zebre e questo nuovo torneo?

Penso sia il torneo più difficile che le Zebre abbiano mai affrontato, perché le quattro squadre sudafricane porteranno tanta qualità e fisicità in più. La nostra è una squadra molto giovane, alcuni giocatori esperti hanno lasciato e sono stati rimpiazzati da giovani italiani molto promettenti: siamo una squadra che va plasmata ma con un grande potenziale. Ho avuto l’opportunità di riallenarmi in gruppo e c’è un’energia che non avevo mai riscontrato prima. Certamente l’essere giovani può portare vantaggi e svantaggi, soprattutto in termini di esperienza, ma starà a noi più “anziani” mantenere costante la direzione verso la performance migliore.

E poi c’è un coach che ha avuto la definitiva consacrazione…

Assolutamente, stavo proprio per dire che abbiamo uno staff tecnico di primo livello. Mike (Bradley, n.d.r.) è stato nominato miglior allenatore del torneo ed è la persona migliore che possa esserci alle Zebre, spero non se ne vada mai perché il suo modo di gestire il gruppo è assolutamente quello giusto. Il riconoscimento più grande per lui sarebbe vincere più partite rispetto agli ultimi anni, in cui abbiamo raccolto meno di quanto abbiamo seminato.

Quanto pensi sia stato importante per il rugby italiano il successo del Benetton in Rainbow Cup?

Credo sia stato estremamente importante, prima di tutto per loro: hanno giocato un rugby in crescendo dimostrando di essere una grande squadra. Conosco tantissimi ragazzi con i quali ho condiviso gioie, soddisfazioni e delusioni, quindi è ovvio essere contenti quando i tuoi amici giocano bene e vincono quando indossano un’altra maglia. Poi è ovvio che ci sia la rivalità, anzi: non vediamo l’ora di giocare contro di loro e di poter affrontare i campioni della Rainbow Cup. Inoltre, finalmente il rugby italiano ha fatto capire che può dire la sua anche in ambito internazionale: vincere un trofeo così importante ci permette di dire che ci siamo anche noi.

Prima dell’infortunio eri un giocatore dalle caratteristiche ben precise: cosa cambierà adesso?

Intanto devo riaggiornami sulle regole perché ce ne sono tante di nuove (ride, n.d.r.). A parte questo, sono sempre stato un giocatore che ha fatto della fisicità e dell’aggressività le sue armi migliori, quindi tornerò quando sarò al 100%, per il tipo di giocatore che sono non posso permettermi di non esserlo. In ogni caso per me sarebbe una seconda carriera, adesso sto cercando di affinare tutta la parte tecnica ma non penso che il mio modo di giocare si discosterà da ciò che ero prima. Anzi, metterei la firma col sangue per tornare il giocatore che ero prima.

Francesco Palma

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