E’ stato il successo della semplicità, della concretezza, del gruppo
Sarebbe facile parlare di grande impresa, rispolverando dai libri del liceo citazioni epiche e paragoni storici, riempiendo pagine di gloriosa – quanto pomposa – retorica sportiva, ma non renderebbe giustizia a quello che hanno fatto queste ragazze in queste tre settimane (e negli ultimi 18 mesi).
Perché che l’Italia di Andrea di Giandomenico fosse una squadra valida non lo scopriamo di certo oggi, né tantomeno ci accorgiamo solo ora delle qualità di queste giocatrici e di un gruppo che è stato capace di uscire vincente, nonostante infinite difficoltà logistiche e situazioni complesse in cui districarsi, da un periodo nero, che ha messo in ginocchio l’intero movimento dello sport semi e non-professionistico (e non solo) e che ha messo a dura prova società, squadre, carriere.
È molto più importante porre l’accento sull’incredibile capacità di piegarsi ma non spezzarsi che ha dimostrato questo gruppo. Qualcuno userebbe l’ormai abusatissimo termine “resilienza”, ma – molto più semplicemente – l’Italia ha ancora una volta dimostrato di essere quando conta prima ‘inter pares’, di quelle che, negli ultimi anni – contro squadre lontane dal semi-pro britannico/francese – portano a casa spesso il risultato anche in serate che sembrano storte, anche in partite che presentano momenti difficili (come nei primi 15′ della ripresa di ieri), quando l’avversario sembra aver preso il sopravvento e pare pronto a sferrare il colpo del K.O.
E invece quel colpo, alla fine, lo sferra l’Italia. Che ha saputo soffrire e stare in trincea, ha saputo piangere quando c’era da e ridere quando c’era da festeggiare. Perché il successo di questa squadra sta nella semplicità: negli abbracci in tribuna dopo il fischio finale di Irlanda-Scozia, nel sorriso pacato ma gioioso di Andrea di Giandomenico in conferenza stampa, nelle infinite settimane di bolla – che dopo 2 anni di Covid rasentano il limite della sopportazione – obbligate quanto difficili.
Il successo dell’Italia sta nei sorrisi di gioia dopo Italia-Scozia, negli sguardi cattivi e determinati delle ragazze prima di Italia-Spagna, come nell’umana delusione dopo Italia-Irlanda, forse la vera chiave di questo torneo di qualificazione ai mondiali. A seguito di quella sconfitta le azzurre hanno saputo levarsi di dosso quell’aura di tensione e di frenesia che aveva compromesso una parte del cammino verso la Nuova Zelanda. Eppure, proprio per questo il passaggio diretto ai mondiali ha ancora più valore. Non è stato un torneo dominato, non poteva esserlo per nessuno, visto l’equilibrio che è regnato nel corso di tutta la competizione: ha vinto chi ha saputo resistere, soffrire, difendere.
Il successo dell’Italia sta nella capacità di affrontare buche, ostacoli, sorprese di questa dissestata strada verso il mondiale, nella capacità di gestire i diversi momenti, nel districarsi tra le diverse punteggiature di un libro che si aggiorna ogni minuto che passa. Non importa se in quel libro c’era il flusso di coscienza di Joyce, la strampalata e folle punteggiatura di Saramago, la riflessività di Umberto Eco o i colpi di scena di Giorgio Faletti, le azzurre hanno dimostrato di poter essere sempre le prime a capirci qualcosa.
E allora si torna dove tutto si è concluso, a quel fischio finale, agli abbracci delle azzurre in tribuna. Perché in quel momento, ognuno di noi avrebbe voluto essere lì ad abbracciarle, a fare festa con loro. Perché se lo meritano.
Francesco Palma
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.