Un giudizio su quanto visto da parte degli Azzurri all’Olimpico
Non è andato tutto bene, anzi. Però è andata meglio di quanto ci si potesse aspettare.
Al di là del 9-47 con cui gli All Blacks hanno battuto l’Italia allo Stadio Olimpico sabato pomeriggio, rimane in mente quell’ora di gioco dove gli Azzurri non sono sembrati la quattordicesima squadra del mondo che sfida la prima del ranking.
La Nuova Zelanda si è presentata sul rettangolo di gioco con la voglia di mandare fuori giri gli Azzurri fin dalle prime battute, facendo volare il pallone da una parte all’altra del campo, ma si è scontrata contro una difesa pronta, volitiva e ben sistemata.
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È stato ben evidente che il lavoro di Kieran Crowley e del suo staff si sia concentrato in questa sola decina giorni di lavoro insieme (giova ricordarlo) sull’organizzazione difensiva. E c’è stata una certa soddisfazione anche per il pubblico nel vedere i propri giocatori distribuire legnate a destra e a sinistra nella prima mezz’ora, per usare un gergo altamente tecnico.
Quello che l’Italia si porta a casa dalla partita dell’Olimpico è proprio questa rinnovata volontà e fiducia nei propri mezzi difensivi, nel piacere di difendere e costringere l’avversario all’errore.
Interessante l’utilizzo del box kick, finora arma praticamente mai utilizzata dagli Azzurri. Gli ultimi piani di gioco prevedevano un gioco al piede orientato a calciare lungo e in campo per poi portar su un difesa ordinata, ma la capacità di recuperare il pallone contro squadre abituate ad andare in doppia cifra di fasi si era dimostrata quasi nulla e spesso il gioco al piede era solo un modo di riconsegnare il pallone agli avversari.
Sin dal primo possesso, invece, Stephen Varney ha mostrato una delle novità preparate per l’occasione: calcio alto dalla base del punto d’incontro e sfida sul punto di caduta per recuperare il pallone. Palloni che sono in effetti arrivati, da tali situazioni, e che avrebbero potuto anche fruttare una meta quando Matteo Minozzi è andato a schiaffeggiare al volo un pallone nei 22 avversari, mangiando sulla testa di Damian McKenzie e servendo Monty Ioane. Inspiegabile la decisione dell’arbitro di fischiare un calcio a favore degli Azzurri per un vantaggio precedente con l’ala di origine australiana in uno-contro-uno con la linea bianca nel mirino.
Proprio Matteo Minozzi è una delle buone notizie che l’Italia si porta a casa dalla partita, alla faccia di chi ancora si lamenta della sua mancata partecipazione al Sei Nazioni. L’estremo azzurro ha giocato una partita di cuore e talento, dimostrando di essere il legittimo padrone della 15.
Tante le prestazioni individuali di spessore, fra le quali brilla l’aspetto difensivo di Paolo Garbisi, che non ha mai avuto un particolare punto di forza nell’intervento individuale ma che ha contribuito alla distribuzione di duri placcaggi. Monty Ioane, si sa, è un talento offensivo notevole e a lui si devono le migliori iniziative offensive azzurre. Come sottolineato anche da Crowley in conferenza stampa, però, l’Italia deve migliorare nella gestione del possesso una volta rotta la linea difensiva avversaria.
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La preoccupazione principale, comunque, è adesso aggiustare le fasi di conquista. La mischia ordinata è stata sotto pressione fin dal primo ingaggio e ha perso possessi importanti, compreso quello che ha fruttato la prima, sciocca meta al 27′. La rimessa laterale ha perso troppi palloni, in particolare in attacco, in particolare con l’allineamento completo, dove la qualità di lancio, salto e alzata diventa ancora più cruciale per conquistare il pallone.
La difesa del drive avversario è stata assai lacunosa, non tanto nella spinta, quanto nell’attenzione ai margini del maul: per tre volte i tallonatori degli All Blacks hanno trovato un’autostrada uscendo dal drive dopo una rotazione in direzione dei pali.
L’attacco azzurro è stato abbastanza inefficace, ma sembra evidente che lo staff abbia potuto dedicare una porzione limitata del tempo alla fase offensiva nella preparazione della serie autunnale.
Resta prioritario rigenerare non solo le energie fisiche quanto quelle mentali. Spesso, nella storia recente del rugby italiano, una buona prestazione novembrina è coincisa con un calo della concentrazione e del livello delle prestazioni.
Gli applausi che gli Azzurri hanno strappato all’Olimpico effettuando il giro di campo di ringraziamento degli spettatori dal vivo sono stati meritati, ma devono essere soltanto un punto di partenza per le settimane a venire.
Lorenzo Calamai
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