L’arcivescovo recentemente scomparso, tra i padri del Sudafrica post-apartheid, è sempre stato particolarmente vicino al rugby
A Cape Town, su un balcone del municipio che si affaccia sulla sottostante Darling Street, campeggia la statua in bronzo di Nelson Mandela.
In una foto scattata a metà novembre del 2019, ai fianchi di quella statua compaiono Siya Kolisi, il capitano degli Springboks che hanno appena vinto la loro terza Rugby World Cup, e l’arcivescovo Desmond Tutu, simbolo della lotta all’apartheid e premio Nobel per la pace 1984, scomparso lo scorso 26 dicembre a 90 anni.
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Nella sua speciale veste di padre della patria vicario, volto del nuovo Sudafrica dopo la fine del regime razzista dopo la scomparsa di Mandela, Desmond Tutu è stato un accalorato sostenitore degli Springboks come motore del continuo cambiamento e, soprattutto, della riconcilazione.
Quella riconciliazione di cui l’arcivescovo è stato custode e promotore, essendo stato a capo proprio della Commissione per la verità e la riconciliazione, un tribunale straordinario con lo scopo di perseguire le violazioni dei diritti umani durante l’apartheid, ma anche di riunire sotto un tetto comune, in maniera praticabile, tutti i volti differenti della Rainbow Nation, un’espressione che, si dice, coniò proprio lo stesso Tutu.
Ecco perché gli Springboks, da sempre uno dei principali simboli della possibile riconciliazione delle anime del paese sotto un’unica bandiera, lo hanno avuto come nume tutelare. A partire dal 1995, quando diede agli angeli la responsabilità di aver portato tra i pali il pallone calciato da Joel Stransky in occasione della finale della Rugby World Cup vinta in casa.
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La nota di condoglianze per la sua morte della federazione sudafricana dice: “Gli abbiamo sempre dato ascolto”.
Ma fu Tutu a dare ascolto ai giocatori in quel pomeriggio del novembre 2019 in cui i campioni del mondo gli fecero visita, ascoltando le parole di Kolisi, facendosi mostrare da Faf de Klerk le sue mutande con la bandiera nazionale già messe in mostra il giorno della finale, dividendo una risata con Tendai Mtawarira.
“Abbiamo avuto momenti di grandissimo valore simbolico come questi in passato, che a posteriori possiamo dire di non aver sfruttato per avere un effetto durevole – ebbe a dire quel giorno Tutu – Non ci possiamo permettere di stare a guardare e riposare sugli allori: dobbiamo usare questo entusiasmo per rinnovare e approfondire il nostro impegno nel costruire una nazione dove tutti i cittadini abbiano eguale dignità e pari opportunità.”
A quegli uomini toccati da tale discorso tocca ora il compito di portare avanti, con le loro azioni, le idee di Desmond Tutu, a ulteriore dimostrazione di quanto lo sport può uscire dai propri confini e influenzare la realtà.
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