Dalla Siberia alla Premiership, le mille peripezie di Kirill Gotovtsev

Il pilone 34enne del Gloucester è arrivato tardi al rugby. Nella sua prima intervista in inglese ha raccontato la sua strana carriera

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Kirill Gotovtsev con la maglia della Russia – ph. CHARLY TRIBALLEAU / AFP

Kirill Gotovtsev viaggia verso i 35 anni. Li compirà a luglio, al termine della sua prima stagione in Premiership con il Gloucester, squadra con la quale ha disputato per ora 11 gare per 570 minuti: niente male per una matricola.

La storia del giocatore passato dalla Siberia all’ovest dell’Inghilterra è singolare. L’ha raccontata lui stesso al Daily Mail, nella sua prima intervista in inglese.

Nato e cresciuto a Boguchany, in Russia, a circa 600 chilometri da Krasnoyarsk, ha avuto un’infanzia difficile come lo sono quasi tutte quelle di chi cresce a decine di gradi sotto zero.

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“Vivevo in un villaggio in una zona piuttosto selvaggia, con la gente che a volte si perdeva nella foresta e se era fortunata ne tornava fuori dopo giorni. La vita era piuttosto dura: raccoglievamo frutti e bacche nel bosco, coltivavamo ortaggi e patate. Chi aveva la macchina poteva andare più lontano per raccogliere noci, ma noi non l’avevamo. Ogni giorno dovevamo andare a prendere l’acqua da una tanica perché a casa non c’era acqua corrente.”

“D’inverno era impossibile trasportarla, e allora mio padre scioglieva la neve per avere acqua da bere. Ne ricordo ancora il sapore disgustoso, amaro. Puoi pure sciogliere la marmellata nel tè e ancora ne sentiresti il saporaccio.”

Alla palla ovale, il pilone ci sarebbe arrivato solamente a un’età molto avanzata. La sua prima passione era la lotta libera: “La palestra era a 3 km da casa mia. Un giorno d’inverno in cui c’erano -58°C ho messo tre paia di pantaloni, tre giacche e un cappello. Sono uscito e sono andato ad allenarmi.”

“In palestra c’era solo il mio allenatore, non era venuto nessuno. Quando sono arrivato ha strabuzzato gli occhi e mi ha chiesto che cosa ci facessi lì, non ci saremmo mai allenati sotto i -40°C.”

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La lotta libera lo accompagnerà fino a 25 anni. L’ostinazione lo porterà sempre ad alti livelli, ma non abbastanza per gli standard che l’allora lottatore si era prefissato: “Avevo degli ottimi risultati, ma non i migliori del paese. Per andare alle Olimpiadi devi essere il migliore in Russia e io non ero oltre il numero 3. I miei compagni erano campioni olimpici, io sapevo che non lo sarei mai stato. Quindi mi sono dato al bob.”

A Krasnoyarsk, infatti, dove viveva in una residenza per studenti, Gotovtsev viene invitato a provare la particolare disciplina delle olimpiadi invernali da alcuni amici.

“Dopo tre mesi, alla fine di una competizione regionale a Soci, piacqui all’allenatore della squadra russa di bob che mi disse: stiamo partendo adesso per la Coppa Europa, vieni con noi!”

“Non avevo nessun vestito invernale con me. Lasciai la mia auto in un parcheggio a caso dell’aeroporto, comprai un paio di scarpe e mi diedero la tuta della squadra.”

“Dopo qualche mese, tornai e la mia macchina era ancora lì nel parcheggio. Mi costò qualche migliaio di rubli, una cifra altissima per me. L’auto era sepolta da un enorme strato di neve, sola in mezzo al piazzale, con la batteria a terra e il motore che non partiva, mentre c’erano -42°C.”

“E questo fu il mio inizio nel bob. Ho lavorato come una pazzo per un anno e mezzo, ma poi non sono stato selezionato per le Olimpiadi. È stata una grande delusione.”

E poi venne il rugby. Gotovtsev venne invitato sul campo da un amico durante un addio al celibato. Era il 2013 quando, ad un allenamento del Krasny Yar, le sue qualità vengono notate.

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Prima, però, si passa per la gavetta, dalla seconda squadra: “Spingevo gente, la lanciavo, usavo tecniche della lotta libera, cose non regolari, ma grazie alla preparazione fisica del bob ero forte e potente, segnavo 3 mete a partita.”

“Quando sono passato in prima squadra pensavo che sarebbe stato facile, e invece i giocatori più forti ed esperti mi massacrarono.”

Nei primi tempi in Russia, Gotovtsev si alternava fra terza e prima linea. Da una parte riusciva già, grazie ad un livello atletico d’élite e alle basi tecniche in comune fra lotta e alcuni aspetti del gioco, a essere un giocatore molto valido, e intanto sviluppava anche la propria tecnica individuale come pilone destro, il ruolo che gli era stato designato vista la sua prorompenza fisica.

“Imparare a giocare in mischia è stato un incubo. Non avevo nessuna idea di cosa fare, mi ritrovavo con la testa infilata laggiù a pensare: cosa cavolo sta succedendo!?”

“È stato un apprendimento da autodidatta, fondamentalmente, andando per tentativi. La lotta mi ha aiutato, perché come la mischia chiusa è basata su principi tecnici, di controllo del corpo, di angoli di spinta.”

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Al Krasny Yar è lentamente divenuto un pilastro, e ha giocato anche nella Challenge Cup 2017/2018.

Nel 2019, a 32 anni, l’uomo venuto dal cuore della Siberia ha infine indossato la maglia della nazionale russa. Ha esordito il 3 giugno contro l’Uruguay, in una partita di preparazione alla Rugby World Cup che ha poi giocato, in Giappone.

Sempre titolare con la maglia numero 3 degli Orsi, si è distinto a tal punto da ricevere numerose offerte in giro per l’Europa. Nel 2021 la scelta di lasciare la Siberia e trasferirsi, con tutta la famiglia, a Gloucester, a 34 anni: “Qui è un altro mondo. Cibo diverso, lato diverso di guida, case diverse, è diverso pure internet.”

“Vi piace la zuppa? Voi non avete mai mangiato la zuppa! Quella inglese non è zuppa, sono solo verdure frullate. La nostra zuppa è fatta di carne, verdura, si cucina per due ore.”

“La vita però è fatta di cambiamenti. Per me lo sport non è solo un lavoro, è metà della mia vita. L’altra metà è la mia famiglia. Di politica, economia, tasse non m’importa. Ho il mio lavoro e la mia bella famiglia, non ho bisogno d’altro.”

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