Sei Nazioni 2022, leggere la trama di Francia-Italia

Crowley ha posto alcuni obiettivi, morali e tattici, al percorso della sua squadra nel Torneo: un primo bilancio

monty ioane italia sei nazioni 2022

Monty Ioane, uno dei protagonisti di Italia-Francia del Sei Nazioni 2022 – ph. Sebastiano Pessina

Nella pancia dello Stadio Olimpico di Roma, nello spogliatoio dell’Italia che sarà utilizzato per le partite del Sei Nazioni 2022, da alcuni mesi campeggia una grande scritta bianca su sfondo blu, sopra il logo della Federazione Italiana Rugby: ottenere rispetto e credibilità per creare un’identità di squadra.

Un mantra che viene ripetuto spesso da quando Kieran Crowley ha preso le redini degli Azzurri. Un obiettivo comune e condiviso, verso cui Michele Lamaro e i suoi compagni hanno compiuto un passo domenica pomeriggio allo Stade de France negli ottanta minuti che hanno composto Francia-Italia, prima giornata del Sei Nazioni 2022.

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L’Italia ha spremuto ogni goccia di sudore sul rettangolo verde, ha lasciato tutto sul campo e, nonostante un passivo che sembra non raccontare una storia diversa rispetto agli ultimi anni, ha meritato l’onore delle armi facendo sudare ben più del previsto la tanto lodata Francia, che ha raggiunto il bonus offensivo solamente dopo l’ora di gioco e, nonostante le dichiarazioni di facciata, non sarà pienamente soddisfatta di essere uscita dalla partita più semplice del suo Sei Nazioni con una differenza punti di sole 5 lunghezze superiore a quella che l’Irlanda ha imposto al Galles.

“Non possiamo essere noi a dire se ci siamo guadagnati la credibilità che vogliamo, saranno gli altri a doverlo fare” ha detto Kieran Crowley nella conferenza stampa al termine dell’incontro. La certificazione deve arrivare da fuori, insomma, e il CT sa bene che una rondine non fa primavera: la prestazione di Parigi ha avuto più di una eco di quella di Roma, contro la Nuova Zelanda, a novembre. Dopo quella gara arrivarono però due prestazioni insoddisfacenti contro Argentina e Uruguay.

Nel bene e nel male

Il cammino, come sapevamo, è dunque ancora lungo, ma alcuni risultati possono essere delineati.

Alla vigilia del Sei Nazioni Kieran Crowley aveva elencato alcune immediate priorità sulle quali concentrarsi e sulle quali impostare un giudizio della prestazione degli Azzurri: l’area del contatto, le fasi statiche e la disciplina.

L’area del contatto è forse la situazione dove le cose, a Parigi, sono andate peggio. Sebbene in questo insieme rientrino anche le driving maul, dove i progressi difensivi si sono fatti vedere, ad eccezione di un paio di raggruppamenti ben eseguiti dagli avversari nella prima parte dell’incontro, i progressi della nazionale italiana nel punto d’incontro non sono stati sufficienti.

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L’Italia fa una fatica disperata a mantenere il possesso del pallone, in particolare quando il portatore di palla riesce ad avanzare con profitto. Maggiore l’avanzamento, e quindi la distanza dal primo sostegno, superiore la probabilità che il possesso venga perduto. Si tratta di un discorso tecnico particolarmente raffinato, nonostante la brutalità fisica della fattispecie, che nel rugby di oggi viene allenato in maniera ossessiva da tutte le squadre, alcune anche con elementi dello staff specificamente dedicati.

La Francia ha fatto una scelta chiara: niente jackler, niente tentativi di scippo del possesso, ma selezione dei punti d’incontro da attaccare con almeno due uomini per forzare una controruck e riguadagnare attraverso la spinta il possesso del pallone. Un atteggiamento che richiede non solo una squadra estremamente forte fisicamente e atleticamente, ma anche intelligente nel decidere le situazioni dove intervenire e quelle dove invece risparmiare energie.


Primo pallone in attacco dell’incontro. Dopo il primo punto d’incontro la difesa francese sale rovesciata, Brex tiene il pallone e avanza. Halafihi e Padovani hanno mezzo secondo di ritardo, l’estremo azzurro non riesce a entrare sotto a Jelonch che fa valere il mismatch di stazza e la migliore posizione tecnica e distrugge la ruck italiana

Le statistiche ufficiali dell’incontro parlano di 5 palloni persi dall’Italia nel punto d’incontro, che sommati ai 13 errori gestuali commessi compongono un quadro non molto lieto della capacità di utilizzare e mantenere il possesso da parte dell’Italia.

Inoltre, il 70% dei punti d’incontro degli Azzurri sono durati più di 3 secondi, impedendo così di giocare i possessi di qualità che ci sono necessari per conquistare l’avanzamento e non essere brutalmente respinti come successo in particolare nella seconda frazione di gioco.

Raggiungono invece una stropicciata sufficienza le fasi statiche. Le cose sono andate bene in rimessa laterale finché a lanciare c’è stato Gianmarco Lucchesi, che quest’anno si sta distinguendo per precisione: possiede la seconda miglior percentuale al lancio dello URC. Meno preciso Hame Faiva, dal quale sono arrivate due rimesse laterali perse e una conquistata senza alcuna qualità proprio nella zona di campo più prestigiosa, i cinque metri dalla meta avversaria. Bene la reattività sul lancio avversario che ci ha consentito di rubare una rimessa e sporcare almeno un paio di possessi.

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In mischia chiusa i numeri dicono che Italia e Francia hanno guadagnato due calci di punizione a testa. Gli Azzurri sono sembrati in difficoltà nel primo tempo, ma sono riusciti a limitare i danni per quanto possibile, con Fischetti che ha subito tutti i chilogrammi di Uini Atonio. L’altra prima linea ha avuto invece fortune alterne, ma è in generale sembrata più performante nella specifica fase della mischia ordinata.

Infine, la disciplina, un punto dove l’Italia ha spesso concesso molto, costretta dalla propria debolezza difensiva a una sequela di falli. La partita di Parigi è stata spezzettata e ha contato un totale di 24 calci di punizione, di cui 14 commessi però dalla Francia, che è stata assai rivedibile, specie nella capacità di adattarsi al metro arbitrale: Mike Adamson ha fischiato ben 5 calci per fuorigioco alla linea difensiva dei padroni di casa.

Sebbene non abbia avuto la perfezione dell’Irlanda nella partita di sabato (solo 6 calci contro di loro), l’Italia ha mantenuto in una fascia medio-bassa il conteggio dei calci di punizione, centrando quindi uno degli obiettivi dichiarati.

Errori gratuiti e attacco asfittico

In pochi si sarebbero attesi un’Italia competitiva nel punteggio in tutto il primo tempo, eppure alla pausa tutti i tifosi azzurri si sono sentiti frustrati, consapevoli che i 18 punti della Francia non erano figli di una grande mole di gioco dei padroni di casa.

L’Italia ha commesso un numero di errori gratuiti troppo alto, che ha sabotato la bontà del lavoro difensivo di ottimo livello fatto soprattutto nei primi 40 minuti. Squadre più ciniche dei transalpini avrebbero punito tali errori in maniera più puntuale, ma per buona parte della partita l’Italia è riuscita a scamparla. Anche in questo caso, una similitudine con la partita dell’Olimpico contro gli All Blacks.

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Come in quella partita, poi, gli Azzurri hanno mostrato poco palla in mano. Tranne nell’azione perfetta della meta di Tommaso Menoncello, l’Italia ha assai faticato a proporre qualcosa di efficace, un po’ per i suddetti problemi nella conservazione dell’ovale, un po’ per l’incapacità di generare avanzamento quando la difesa è ben schierata.

Probabilmente lo staff azzurro non ha ancora avuto modo di sviluppare appieno il discorso offensivo, ma senza una maggiore imprevedibilità quando si vanno a sfidare i giocatori pesanti della squadra avversaria, difficilmente riusciremo a generare palloni di qualità. Ad oggi i nostri avanti ricevono il pallone quasi sempre dal numero 9, con un portatore designato chiaro e ben riconoscibile anche dalla difesa.


La difesa francese è ritenuta tra le migliori del mondo a ragione. In questa zona di campo impegna massimo due uomini nell’area del placcaggio e mantiene una densità impressionante. Fare la differenza è difficilissimo per tutti, specie quando non si pongono molte domande alla linea

Un giudizio

A fare l’elenco di cosa non va la lista sarebbe lunga e deprimente. Il gioco tattico, ad esempio, ci ha visto sempre dalla parte perdente dell’agone.

La verità però è che la partita degli Azzurri è una gara migliore di quanto il 37-10 finale faccia sembrare e ci sono diverse cose positive da portare a casa. In particolare una prestazione difensiva di alto livello, decisamente migliorata rispetto a quella di dodici e ventiquattro mesi fa nel Torneo.

È chiaro che al 23esimo anno di Sei Nazioni l’Italia avrebbe potuto e probabilmente dovuto essere in un’altra condizione. Ma la situazione è questa e porsi in una prospettiva critica sulla base di questo lascia oggi il tempo che trova. La prestazione contro la Francia di domenica è un passo in avanti, una prima mossa verso un’ulteriore tentativo di progresso. Se gli Azzurri riusciranno a dargli un seguito ce lo diranno il resto del Torneo, della stagione e del ciclo appena avviato.

Per quanto, da sostenitori azzurri quali siamo, possiamo essere stufi di attendere, sappiamo che non accadrà tutto dall’oggi al domani: c’è ancora una volta bisogno di pazienza. Nel nostro piccolo possiamo solamente fare sostegno.

Lorenzo Calamai

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