La sconfitta contro l’Italia ha generato un dibattito interno su come riformare il movimento, a partire dalle franchigie
Tramontata la delusione per la sconfitta 21-22 contro l’Italia nell’ultimo turno del Sei Nazioni 2022, il rugby gallese si sta interrogando sul proprio futuro e sulla necessità di apportare riforme ad un movimento che non funziona, a detta degli stessi addetti ai lavori.
La partita di Cardiff, infatti, più che accendere una luce su una nazionale che durante il Torneo aveva in realtà performato anche al di sopra delle aspettative della vigilia, ha permesso di generare un dibattito interno al Galles, squadra che ha vinto sei volte il Sei Nazioni negli ultimi 17 anni, ma che sembra oggi destinata ad un sempre maggiore declino.
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Se il XV allenato da Wayne Pivac, però, può ancora contare sulle valide prestazioni di alcuni dei suoi senatori, quello che preoccupa il rugby gallese è la capacità di produrre nuovi giocatori di qualità all’interno del sistema delle Regions, le franchigie che partecipano allo United Rugby Championship.
Anche perché, al di là del risultato della nazionale maggiore, in quello stesso fine settimana dell’impresa azzurra a Cardiff l’Italia U20 batteva i pari età gallesi a Colwyn Bay per la terza volta consecutiva, gli Scarlets venivano strapazzati 57-12 dai Bulls e Cardiff perdeva 40-3 con gli Stormers. In tutta la stagione le franchigie gallesi hanno vinto 18 partite su 47.
“A inizio stagione tutti noi directors of rugby ed head coaches siamo stati parte di un tavolo di lavoro dove abbiamo già segnalato quelli che secondo noi sono i cambiamenti appropriati per essere competitivi – ha raccontato Dai Young, capo allenatore di Cardiff – Pochissime squadre vincono senza appropriati investimenti, no? Non si parla solo di soldi, ma anche di strutture, business plans, dell’intero sistema.”
“Ricordo di aver allenato contro il Leinster a Donnybrook con meno di mille spettatori presenti. Poi la federazione irlandese ha deciso di investire nel professionismo. Hanno prima investito nel Leinster. Il loro standard è cresciuto e ha portato tutti su con loro. Quindi hanno investito nelle accademie: c’era una chiara direzione di dove volevano andare e ci sono riusciti piuttosto bene.”
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“Ora noi siamo a questo punto. Al momento non credo ci sia una chiara direzione nella quale muoversi per migliorare. Ci sono state un sacco di chiacchiere, ma qualcuno alla fine dovrà prendere una decisione e indicare il sentiero da seguire, perché penso che tutti si siano accorti che le cose non possono andare avanti così.”
Uno dei principali problemi viene individuato nel conflitto di interessi fra federazione e club amatoriali. Il consiglio direttivo della Welsh Rugby Union è costituito infatti per la maggior parte da esponenti dei club, i quali da anni remano contro un più definitivo distacco fra il gioco professionistico e quello amatoriale.
Il recente tentativo dell’ex presidente federale Gareth Davies di modernizzare la governance del rugby professionistico, rendendo più agile il processo decisionale e snellendo il consiglio federale gli è valso solo l’addio alla carica.
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All’immobilismo della struttura amministrativa del rugby in Galles, si uniscono altri fattori: la federazione ha spesso investito in progetti che puntano a generare ulteriori profitti piuttosto che nello sviluppo del movimento (si dice che i 51 milioni di sterline derivanti dall’accordo con CVC possano finire in un birrificio a marchio WRU e in posti a sedere per le partite a Cardiff dalla cima del tetto del Principality); lo sviluppo dei giovani talenti è deficitario e non ha una vera e propria struttura dedicata; limitata attività nel settore scolastico.
In tutto questo Wayne Pivac sembra ancora potersi tenere seduto alla guida della nazionale. Anche se non esente da problemi, per il momento la sua gestione del Galles ha del credito da spendersi. Ma all’orizzonte c’è un tour estivo in Sudafrica che sembra possa portare più guai che buone notizie.
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