Maxime Mbandà: “Ho scritto un libro per mio figlio. Avrei voluto finire la carriera alle Zebre”

Una lunga e costruttiva chiacchierata con la terza linea delle Zebre e della Nazionale, sull’uscita di “Fuori dalla mischia” e sulla fine della sua avventura con la franchigia parmense

Maxime Mbanda: "Il libro è una lettera a mio figlio. Avrei voluto finire la carriera alle Zebre"

Maxime Mbanda: “Il libro è una lettera a mio figlio. Avrei voluto finire la carriera alle Zebre” – ph. Sebastiano Pessina

Maxime Mbandà è uno di quelli che parla solo quando ha qualcosa da dire. E se uno come lui esce con un libro a 29 anni, evidentemente di cose di cui parlare ce ne sono un bel po’. La terza linea delle Zebre e della nazionale ha raccontato a OnRugby il progetto del suo libro (Fuori dalla mischia, edito da Piemme) ma non solo: l’addio a Parma, la volontà di dare continuità al suo progetto di vita dentro e fuori dal campo e la nuova avventura a Colorno, che partirà dalla prossima stagione.

Come stai vivendo questo finale di stagione?

Sto vivendo emozioni altalenanti in questo periodo: abbiamo avuto un’annata assurda, potremmo scriverci un altro libro sopra (ride, ndr), ma stiamo trovando la nostra identità. Purtroppo è tardi, ma cercheremo di giocarci le nostre carte e dimostrare che avremmo potuto esprimerci al massimo anche prima, e ci siamo mangiati le mani per non aver portato a casa le partite di Newcastle ed Edimburgo.

A proposito di libri, com’è nato questo progetto?

Quando la casa editrice me l’ha proposto sono scoppiato a ridere, pensavo: “A 28 anni cosa potrei scrivere in un libro?”. Poi ho riflettuto sulle varie vicissitudini che ho dovuto affrontare nella mia vita e ho trasformato questo libro in una lettera a mio figlio Leone, che ha un anno. Mi sono descritto a 360 gradi, mettendo dentro non solo le cose positive ma anche quelle negative, in particolare riguardo all’adolescenza, uno dei periodi più critici almeno per quanto mi riguarda. Con questa lettera mio figlio potrà leggere chi è suo padre nel bene e nel male, anche perché il rapporto tra padre e figlio non è sempre dei più semplici: spero di poterne creare uno solido con le Leone, ma se così non dovesse essere avrà una specie di “testamento” in cui potrà sapere chi è suo padre. Spero possa prendere come esempio le mie esperienze positive ed evitare quelle negative.

Com’è stato raccontarti in un libro? Ti sei trovato a tuo agio?

È stato un lavoro a quattro mani con un ghostwriter che si chiama Giancarlo Liviano, che mi ha reso padrone del mio libro, ha tenuto le mie parole e ha cercato in alcuni punti di usare i termini giusti per esprimere particolari concetti. E quando l’ho fatto leggere alla mia compagna Cristiana mi ha detto “Sei tu in questo libro”, ed è stata una conferma importante. Scrivere questo libro è stato un percorso terapeutico, molte delle cose che ho raccontato le ho ricordate durante il processo di scrittura, ripercorrendo passo dopo passo la mia vita. Quando si fa questo, possono tornare in mente tante cose. Quando si parla di cose accadute 10 o 20 anni fa bisogna per forza guardarsi dentro: qui dentro c’è almeno il 95% di Maxime, mi sono raccontato senza filtri, con delle parti anche abbastanza “dirette”. Questo sono io, ho fatto tanti errori ma ho cercato di usare le lezioni imparate dopo ogni sbaglio come base per il futuro.

E se un giorno Leone dovesse chiederti di questo libro?

Sarei più che contento di potermi confrontare con lui: spero di poter avere un rapporto con lui tale da poterci dire in faccia la verità senza filtri e senza aver paura di essere giudicati. Spero che possa arrivare quel momento.

Leggi anche: Maxime Mbandà sarà un giocatore del Colorno

Tornando al rugby giocato, da dove nasce la scelta di lasciare le Zebre?

Non è stata una mia scelta. Per questa squadra ho dato il 100% e anche di più, dentro e fuori dal campo, e rimarrà una parte del mio cuore. La società ha deciso così e ne ho preso atto, un giorno spero di poterne parlare più liberamente, adesso sono ancora un pochino colpito, perché lasciare un pezzo di sé stessi non è mai facile. Qui sono cresciuto come giocatore e come persona, ho vissuto dei momenti incredibili con i miei compagni, che ricorderò per sempre. Ci siamo sempre supportati l’uno con l’altro, anche nei periodi più difficili: poi come in ogni famiglia gli screzi ci possono essere, ma abbiamo affrontato tutto sempre come una squadra.

Avresti voluto chiudere la carriera qui?

Sì assolutamente. Sono una persona che rimane molto legata agli affetti.

Quindi adesso c’è Colorno…

All’inizio il mio cuore mi portava a Calvisano, dove ho vissuto 3 anni che ricordo con grande amore, ma ho dovuto fare una scelta anche legata alla mia famiglia. Non sono da solo, siamo in 3, Leone si è stabilizzato qui a Parma e trasferirci avrebbe creato uno squilibrio. Sono contento di aver fatto questa scelta perché Colorno è una grande realtà, dove troverò diversi amici. Sono in ottimi rapporti con Umberto (Casellato, ndr) e Filippo (Frati, ndr), e poi ritrovo anche dei miei compagni delle Zebre. Quindi tutti questi fattori mi fanno pensare di aver fatto la scelta giusta, anche perché restare a Parma mi permette di dare continuità anche al mio progetto di vita, al di fuori del rugby.

Cosa pensi del percorso di rinnovamento delle Zebre?

Penso che chiunque stia facendo questo ragionamento abbia delle idee in testa e stia cercando di portarle avanti. Non sono nessuno per criticare una scelta di questo tipo, non mi permetterei mai.

Il giovane che ti ha colpito di più?

Penso che Simone Gesi abbia meritato di stare in questo ambiente. Sono contento per lui perché è veramente un bravo ragazzo, molto umile, e spero possa fare strada.

Francesco Palma

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