L’ex pilone Azzurro racconta l’impegno di coach dei giovani avanti, ruolo che il prossimo anno rivestirà anche per la prima squadra scaligera
Dal campo di gioco (dove ha indossato le maglie di Petrarca, Benetton, Leicester, Edimburgo e della nazionale, per ben 23 volte) al lavoro da allenatore, un percorso che parte da lontano, fin da quando giocava a Leicester: Michele Rizzo si è lanciato in questa nuova avventura, che lo vede protagonista nello staff dell’Accademia di Verona, principalmente con il ruolo di allenatore della mischia dei giovani. Dal prossimo anno, però, si occuperà degli avanti anche della prima squadra. L’ex pilone azzurro ci ha raccontato la sua esperienza e il suo modo di lavorare con i ragazzi.
Come si passa da Michele Rizzo giocatore a Michele Rizzo allenatore?
Avevo cominciato già ai tempi di Leicester, seguendo dei corsi da allenatore. Avevo il desiderio di restare nel mondo del rugby, e quando sono tornato in Italia per chiudere la carriera al Petrarca avrei voluto continuare questo percorso, per creare qualcosa di importante a Padova. Fondamentalmente il Petrarca ha sempre avuto delle giovanili di tutto rispetto, a livello qualitativo e quantitativo: io volevo creare un progetto a lungo termine che facesse da anello di congiunzione tra i giocatori che uscivano dall’under 19 e un campionato di Serie A o di Top 10, assistendoli durante l’anno con dei programmi paralleli alla vita del club, un po’ come quello che stiamo facendo adesso a Verona. Purtroppo non c’è stato spazio per questa cosa, e quando mi è arrivata la chiamata del Verona ho detto immediatamente di sì, anche perché lavorare con i ragazzi dai 17 ai 20 anni era proprio quello che mi interessava.
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Quindi segui i ragazzi nella fase direttamente precedente al “grande salto”?
Sì. Diciamo che quelli già più grandi, sui 19-20 anni, sono proprio all’ultimo passo prima del salto, mentre quelli più piccoli si stanno avvicinando a un rugby più strutturato, in cui bisogna capire che ci vuole rigore e disciplina per competere ai massimi livelli, alimentandosi, allenandosi e riposandosi in un determinato modo, se si vuole provare ad arrivare da qualche parte.
Come ti sei trovato a Verona? Qual è il tuo ruolo in accademia?
Subito bene. Il progetto mi è piaciuto immediatamente, anche se ovviamente a causa della pandemia abbiamo avuto delle difficoltà, ma siamo riusciti a non perdere molti ragazzi, tenendoli sempre impegnati e in movimento pur giocando poco. Da quest’anno ho iniziato a lavorare più concretamente: mi occupo della crescita e della formazione di tutti gli atleti della prima linea, quindi under 17 e under 19, e inoltre mi occupo della difesa. Da un mese ho iniziato ad allenare la mischia della prima squadra, che seguirò anche l’anno prossimo, e una volta alla settimana lavoro anche con l’under 15 e con i suoi allenatori. Con i ragazzi più piccoli cerco di insegnare prima di tutto le posizioni e la postura, fondamentali per evitare infortuni.
Come cambia l’approccio con i ragazzi di prima linea quando sono così giovani?
Innanzitutto, bisogna dare degli esercizi a corpo libero per insegnare come posizionarsi. Chiaramente in under 15 l’ingaggio è molto limitato, quindi anche l’insegnamento deve andare di pari passo con l’effettivo livello. Si lavora uno ad uno, con esercizi semplici che fanno capire come si tengono la schiena, il bacino, le spalle. Poi li si comincia a lavorare con delle macchine per la mischia singole. Sono lavori che permettono a un ragazzino di 13-14 anni di conoscere di più il suo corpo e di capire come bilanciarsi nella spinta, soprattutto per la sua salute. A quell’età poi i ragazzi sono veramente delle spugne, imparano in fretta.
È anche un modo per far capire ai ragazzi il valore del pacchetto di mischia?
Sì, anche se quello arriva con un po’ più di tempo, perché si entra davvero nello spirito della mischia quando si può davvero spingere. Cosa che a quell’età ancora non avviene. Probabilmente si riflette un po’ di più sul drive da touche: da lì si può creare quello spirito del “branco di lupi” dei primi 8 dove devi dominare fisicamente gli avversari. Per quanto riguarda la mischia invece stiamo lavorando sulle basi per costruire degli atleti di livello. È una cosa stimolante anche per me, perché non ho grandissima pazienza con i ragazzini (ride, ndr) e sto imparando tanto anch’io.
Com’è strutturata l’accademia di Verona?
L’accademia si divide in due rami. Il primo è composto dai ragazzi “residenti” che vivono e studiano in accademia. Ci sono 8 camere da 4 che l’anno prossimo verranno poi ampliate: la mattina vanno a scuola, poi mangiano e si allenano alternando campo e palestra. Dalle 3 alle 4 un gruppo va in palestra e l’altro in campo, dalle 4 alle 5 si invertono. In campo si allenano le skills di base, quelle di reparto e di ruolo. Dopodiché, 3 volte alla settimana c’è anche l’allenamento con il club. Io in particolare lavoro con le prime linee, o anche anche con le seconde se magari c’è da lavorare su touche, lavoro inoltre la difesa e i punti d’incontro. I “non residenti” seguono lo stesso percorso, ma poi vanno a dormire a casa e il weekend giocano con il proprio club.
Oltre all’aspetto prettamente tecnico e fisico, su cosa si focalizza l’accademia?
Sicuramente l’aspetto tattico che andiamo ad approfondire tramite le video analisi e l’esecuzione di situazioni tattiche in campo. Inoltre ci sono degli incontri periodici, circa 2 volte al mese, con nutrizionista e mental coach. Con il primo si fanno visite individuali per impostare e monitorare il piano alimentare e workshop per rendere consapevoli i ragazzi dell’importanza dell’alimentazione, sonno ed idratazione. Con il mental coach si fanno alcuni workshop e dei lavori di gruppo, trattando anche temi come la leadership, gestione dell’attenzione e dinamiche di squadra , e poi vengono in campo e cercano di aiutare i ragazzi dal punto di vista psicoattitudinale, ad esempio con chi ha problemi di gestione dell’errore o di ansia da prestazione. Poi abbiamo le aule studio con dei tutor che li aiutano a studiare e fare i compiti. Una volta a settimana ci fermiamo noi come tutor dell’accademia, così abbiamo la possibilità di conoscere i ragazzi anche dal punto di vista personale. L’accademia di Verona lavora sullo sviluppo non solo dell’atleta ma anche del ragazzo: hanno la possibilità di vivere da professionisti e di approcciarsi alla vita quotidiana degli adulti. Sono ragazzi di 16 anni che iniziano a vivere da soli, lontani da casa, anche se in un luogo dove sono sicuri e sorvegliati: imparano a convivere con le altre persone, a rispettare gli spazi comuni, a gestire lo studio in autonomia. Anche perché i tutor per lo studio ci sono, come detto, ma comunque se uno non ha voglia di studiare, non studia.
Quindi è un percorso anche di maturazione umana?
Esatto, l’obiettivo dell’accademia è formare atleti a 360 gradi, infatti il sesto pilastro della nostra Accademia è quello olistico dove cerchiamo di dare nuovi stimoli e punti di vista ai ragazzi per lo sviluppo della loro parte umana, che siano workshop con atleti importanti che riportano la loro esperienza o insegnamenti di vita più ‘’pratici’’. A Verona offriamo cose che nessun altro offre in Italia. Secondo me un’ulteriore chiave di sviluppo è la competitività: un ragazzo di 16-17 che deve fare una scelta di questo tipo, si baserà ovviamente sulle strutture e sulla qualità degli allenatori, del nutrizionista, dello psicologo, ma anche sui risultati della squadra. Vincere come club o comunque stare davanti è uno stimolo in più.
Francesco Palma
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