Finale Top 10: Filippo Frati analizza e racconta Petrarca-Rovigo

Dal gioco delle due squadre alle nuove regole, dai giovani che andranno all’estero ai giocatori che scenderanno dall’URC: questo e altro con il tecnico di difesa, touche e breakdown del Colorno, che ha analizzato insieme a noi la finale scudetto e la stagione italiana

Finale Top 10: Filippo Frati analizza e racconta Petrarca-Rovigo

Finale Top 10: Filippo Frati analizza e racconta Petrarca-Rovigo ph. Martina Sofo

Il 28 maggio sarà il giorno di Petrarca-Rovigo, finale scudetto del Top 10 2021-22. A un anno di distanza, le due formazioni si contendono nuovamente il titolo. Con Filippo Frati, tecnico del Colorno e commentatore tv su Sky, abbiamo analizzato tutti gli aspetti di questa sfida.

A un anno di distanza, è di nuovo Petrarca-Rovigo. Quali sono le differenze rispetto alla scorsa annata?

Pensando al Petrarca, direi che le differenze sono poche. Sono arrivati a giocarsi la finale con un percorso dominante, simile a quello dell’anno scorso, con uno staff e un parco giocatori molto simile. A Rovigo invece sono stati fatti tanti cambiamenti: ha cambiato lo staff tecnico, con giocatori nuovi e un nuovo modo di giocare. Nonostante questo è arrivato in finale, pur non partendo benissimo per i motivi che abbiamo elencato, ma hanno disputato un grandissimo girone di ritorno, nel quale sono migliorati partita dopo partita fino a giocarsi questa finale, anche contro i pronostici della vigilia che vedevano tra i favoriti per i playoff Petrarca e Valorugby.

A proposito del Valorugby, che si è fermato di nuovo in semifinale: si può parlare di delusione per loro?

Decisamente, una grandissima delusione. Sia per la campagna acquisti faraonica che hanno fatto, che arrivava dopo un’altra estate di rafforzamento importante, sia per gli obiettivi che avevano posto all’inizio del campionato: lo stesso allenatore ha parlato di scudetto, quindi va da sé che non essere arrivati nemmeno a giocarsi la finale sia una delusione.

Che partita ti aspetti al Lanfranchi?

Pensando alla finale dell’anno scorso, la grande differenza è che stavolta si affrontano due squadre che giocano in modo speculare, che calciano tantissimo la palla, prendono pochi rischi e giocano sugli errori degli avversari. Nel 2021 Rovigo giocava a tutto campo, e ha contribuito a rendere molto spettacolare la partita, questa volta invece potrebbe esserci una finale più statica, perché stavolta le due formazioni hanno un tipo di gioco molto simile. Sarà un match che potrebbe essere deciso da un episodio e dai calci piazzati: Lyle da una parte, Van Reenen e Da Re dall’altra sono calciatori molto affidabili e precisi.

Il Petrarca, dopo aver dominato la stagione regolare, ha fatto molta fatica nell’andata contro Calvisano. Non c’è il rischio che si ripeta il copione dello scorso anno, in cui si sono sciolti sul più bello?

Possono esserci tanti fattori: la scorsa stagione è stata influenzata dalle tante partite sospese e aveva dovuto recuperarle tutte alla fine, arrivando alla finale scudetto senza avere riposo. “Sciogliersi” mi sembra un po’ eccessivo come giudizio, alla fine hanno perso all’ultimo minuto con una meta assegnata dal TMO, anche se giocavano in casa e avevano i favori del pronostico. Sicuramente è stata una grande delusione per loro, ma quest’anno ci arrivano in modo diverso: la partita di ritorno contro Calvisano mi ha impressionato per il modo in cui si sono imposti sull’avversario, segnando 40 punti a una squadra che fa della difesa il suo punto di forza principale. Rovigo ha faticato un po’ di più, però proprio per il modo in cui è arrivato in fondo giocherà questa finale con grandissima carica. Inoltre non dimentichiamo che si gioca in campo neutro, e conoscendo i tifosi non è difficile aspettarsi un Lanfranchi colorato di rossoblu. I biglietti delle tribune sono già sold out, e questo dice tutto.

In semifinale ha colpito la prestazione in mischia di Quaglio, insieme a Swanepoel. Quanto valore aggiunto stanno dando al torneo i giocatori provenienti dalle franchigie? Quanto possono aiutare queste “discese” nella crescita del Top 10, tra cui quelli che verranno proprio a Colorno?

Molto. Cito a memoria, nel Petrarca ci sono Tebaldi, Esposito e Sgarbi che quest’anno hanno fatto una grandissima differenza. Nel Rovigo c’è anche Sarto, che ha segnato tantissime mete, e molto importanti. Nel girone di ritorno è stato una furia. Lo stesso Da Re, che si è allenato spesso col Benetton e ha anche giocato lì, quando gioca nel Top 10 si vede che è un giocatore di alto livello. La speranza è che quelli che verranno l’anno prossimo a Colorno facciano lo stesso, ovviamente. Sicuramente ragazzi di questo livello, che non sono a fine carriera, anzi, hanno ancora molto da dire, e a livello di esperienza portano il loro valore al servizio dei giocatori giovani. Pensiamo a Colorno: una squadra giovanissima, nel quale ci sono 3 giocatori – Mey, Odiase e Gesi – che sono in nomination per il premio di miglior giovane del torneo. Questa squadra è arrivata quinta, giocandosi l’accesso ai playoff, e i giocatori che arriveranno fanno parte di un progetto che vuole far crescere questi ragazzi.

In Italia, non solo nel rugby, si parla spesso della paura di “bruciare i giovani”. Quanto è reale questo rischio e qual è il modo migliore per gestirli?

Penso che si debba parlare tanto con loro, far capire quello che ci si aspetta dalla loro prestazione e quale tipo di contribuito vogliamo in campo, non solo individualmente ma anche a livello di gruppo. Bisogna condividere il percorso che il club ha in mente, così si riduce il rischio. Certo, se metti in campo un ragazzo di 18 anni e gli fai fare il capitano, lo fai calciare tra i pali, gli fai fare i calci in touche e pretendi che ti risolva le partite, a meno che non sia Jonny Wilkinson il rischio di bruciarlo c’è. Bisogna conoscere a fondo i giocatori, capire quello che possono dare rispetto alle richieste dell’allenatore e del club. Ci vuole raziocinio: una volta fatto questo il rischio di bruciarlo non c’è, perché se un giocatore di 19 anni avere la possibilità di giocare sia la cosa più bella del mondo. Non deve essere un peso: se ci si rende conto che può diventarlo, allora il rischio si crea.

Proprio parlando di Mey e Odiase. Cosa pensi della possibilità di andare all’estero così giovani? È troppo presto o è giusto così?

Sono sempre stato un grandissimo sostenitore dei trasferimenti all’estero dei giovani. Dobbiamo riconoscere che i nostri competitors hanno qualcosa in più a livello di formazione, e sono assolutamente favorevole a questo. Se un giovane ha la possibilità di andare all’estero deve farlo. Purtroppo, ed è stato secondo me un grande limite della nostra Federazione, per tanti anni c’è stato questo vincolo per i giocatori provenienti dalle accademie: un contratto che li legava anche per gli anni successivi. È stato un enorme errore di presunzione da parte della nostra Federazione.

Infatti negli ultimi due anni il numero di trasferimenti è lievitato…

Sì, pensiamo guardiamo Garbisi, che è l’esempio più bello. Sicuramente è un giocatore speciale, e magari avrebbe avuto lo stesso una crescita anche al Benetton, che per standard e proposte è simile ai nostri competitor esteri, ma ha avuto una maturazione incredibile quando ha deciso di andare all’estero. La speranza è che ce ne siano tanti come lui: giocatori che facciano tornare la Nazionale forte come un tempo, quando tanti giocavano fuori come i Bergamasco, Castrogiovanni, Parisse, Ongaro, Perugini, Masi, e via dicendo.

A questo punto, col progetto che sta costruendo Colorno, l’obiettivo saranno i playoff?

Assolutamente. Ne abbiamo già parlato tra di noi e l’obiettivo devono essere i playoff. Lo dobbiamo al club, per gli investimenti che sta facendo anche a livello di strutture e staff medico e tecnico. Sulla carta saremo meglio di quest’anno, e se siamo arrivati quinti è chiaro che l’anno prossimo ci si aspetta di più.

Il presidente Fir Innocenti ha detto di essersi molto divertito guardando Rovigo-Valorugby, ma ha anche parlato dei tanti errori visti in campo e della necessità di alzare il livello. Cosa ne pensi?

Bisogna lavorare. Gli errori vengono corretti col lavoro, quindi servirà un maggiore focus su questo. Una cosa che può essere rivista è la regola del tempo fermo in mischia. Sicuramente non serve a nessuno stare in campo 105 minuti: è vero che è aumentato il tempo effettivo, ma è un dato fine a sé stesso, perché semplicemente si sta più tempo in campo, non si parla di intensità e densità. La densità è il rapporto tra il tempo di gioco effettivo e il tempo di riposo, e questa non è cambiata. Inoltre, in questo modo aumenta anche il rischio di infortuni. Tieni conto che fino alla pre-season ci siamo allenati pensando di stare in campo 92-93 minuti, poi la settimana prima della Coppa Italia abbiamo saputo di questa regola e non eravamo pronti, ritrovandoci a stare in campo 105 minuti. Valorugby-Rovigo è durata 115 minuti: un’enormità, una follia. E poi a questa regola è stato aggiunto il TMO, che influisce ulteriormente sulla permanenza in campo. Non si può pensare di far durare così tanto una partita: è stato giusto provarci, ma bisognerà mettere sulla bilancia i pro e i contro, e questi ultimi sono tanti.

Anche a livello di spettacolo…

Esatto, non si può stare in campo due ore. Prima di tutto noi allenatori dobbiamo lavorare per far riprendere il gioco prima possibile: mischia e touche sono le situazioni in cui si perde più tempo. A livello internazionale (Top 14, Premiership e Super Rugby) il tempo di ripresa del gioco per una rimessa laterale, da quando il pallone esce a quando viene lanciato, è di 15-18 secondi, in Italia è tra i 30 e i 35. Si potrebbe aumentare il tempo effettivo di gioco di 3-4 minuti semplicemente velocizzando il tempo di ripresa del gioco in rimessa laterale, stimolando le squadre a muoversi più velocemente.

Francesco Palma

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