La sconfitta con la Georgia ha evidenziato mancanza di determinazione, fiducia nei propri mezzi e capacità di gestire le situazioni difficili
Quarantotto ore dopo Georgia-Italia la delusione e la frustrazione sono ancora grandi. Non solo per la sconfitta in sé ma per le modalità con cui è arrivata. Con gli azzurri praticamente sempre sotto nel punteggio (salvo 3 minuti) che hanno offerto una prestazione opaca sia a livello di singoli sia di squadra (concedendo tra l’altro 2 mete troppo facili agli avversari e fallendone una per eccessiva precipitazione).
Ma oltre all’aspetto del gioco è quello mentale che ancora una volta desta grandi interrogativi e preoccupazioni. Come avevamo sottolineato nella nostra preview ” molto dipenderà dalla capacità di stare dentro la partita per tutti gli 80 minuti con lucidità e ferocia, rispondendo in maniera positiva alla pressione che inevitabilmente arriverà”.
Eravamo consapevoli dell’importanza delle difficoltà del test con la Georgia non solo, con tutto rispetto per il valore dei Lelos, per l’avversario in sé – e per le fortissime motivazioni georgiane di far parte del rugby che conta – ma soprattutto per quello che l’Italia doveva dimostrare a sé stessa. La capacità di vincere le partite che si devono vincere quando, per una volta, le si affronta, almeno sulla carta, da favoriti. Insomma la capacità di dimostrare che sotto pressione siamo una squadra che sa fare il proprio dovere.
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Purtroppo gli Azzurri ancora una volta hanno miseramente fallito la prova. Un po’ come quando, dopo la vittoria sul Sudafrica nel 2016, la settimana successiva a Padova non superammo l’esame di maturità lasciando sul campo una vittoria con Tonga che era ampiamente alla nostra portata.
Ora non è certo il momento di cercare colpevoli ma di fare una profonda analisi per trovare al più presto delle soluzioni a un problema che evidentemente non è tanto e solo tecnico ma soprattutto psicologico e motivazionale.
Anche questa volta infatti dopo l’inaspettata impresa in Galles, le due vittorie (poco convincenti e che poco contano) con Portogallo e Romania, la prova del nove ha dimostrato che abbiamo sempre le stesse fragilità che sono prima di tutto caratteriali: manca determinazione, tenacia, fiducia nei propri mezzi, lucidità, capacità di gestire e reagire nelle situazioni difficili.
Già al momento dell’inno i volti dei nostri ragazzi sembravano persi, spauriti logorati dalla tensione. E l’essere andati in difficoltà dopo le due mete georgiane ha fatto il resto creando una voragine di insicurezza, imprecisione, affanno, confusione mentale che hanno caratterizzato tutta la partita dei nostri. In tutte le fasi chiave del match non siamo più riusciti a trovare quella tranquillità e la lucidità per prendere in mano il pallino del gioco e ribaltare il risultato a nostro favore.
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Evidentemente, a questo punto, bisogna che lo staff sia in grado di creare un ambiente di fiducia e convinzione all’interno della squadra ma soprattutto va fatto un lavoro sulla mentalità di questi ragazzi e rivisto l’approccio alle partite perchè imparino prima, si abituino poi, ad affrontarle con l’equilibro, la serenità, le motivazioni e il piglio giusti.
Per anni ci siamo detti che “vincere aiuta vincere“ ma per cominciare a farlo occorre una scintilla che inneschi il motore. E per quanto non stia a noi dare consigli allo staff forse un cambio di rotta nella gestione del gruppo e un lavoro più approfondito con il mental coach si dovrebbe farlo. Prima che, perdonateci la battuta, dallo psicologo ci debbano andare i tifosi dell’Italrugby.
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