La seconda linea azzurra: “Perché non gioco 80 minuti? Non me ne frega niente di quale numero ho addosso, mi interessa esserci”
Dopo due anni in Francia e un titolo conquistato, Sara Tounesi inizierà una nuova avventura alle Sale Sharks, in Inghilterra. Un’offerta “che non si poteva rifiutare”, come ammesso da lei stessa, e che la porterà a giocare in un campionato di altissimo livello. Nel frattempo, c’è anche un mondiale da preparare, con Tounesi che sarà tra le protagoniste del cammino azzurro in Nuova Zelanda.
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A cosa è legata la scelta di cambiare nuovamente?
“In realtà non avevo nessuna intenzione di trasferirmi. Sto benissimo in Francia a livello personale, professionale e universitario. Avevo rifiutato anche delle offerte da altre squadre francesi perché a Clermont mi trovo benissimo. In Inghilterra però erano molto interessati, mi hanno chiamata più volte e soprattutto mi offrivano dei vantaggi che mai avrei potuto sognare prima: con Sale ho firmato un vero e proprio contratto di lavoro. La proposta era molto allettante”.
Ci sono state delle difficoltà?
“La mia priorità era trovare una soluzione con l’Università, sono all’ultimo anno di Lingue e letterature straniere. Quando mi è arrivata questa proposta ho subito chiamato il professore universitario che mi segue e gli ho detto di questa possibilità. In Francia sono molto avanti da questo punto di vista, mi hanno subito proposto un programma che mi permettesse di dare degli esami prima di partire, e poi gli altri li farò a distanza dall’Inghilterra. Una volta risolto questo problema, per il resto mi sembrava tutto un sogno, non potevo non rifiutare. Mi sono detta: se non lo faccio adesso, non lo faccio più. Anche perché dopo le mie priorità cambieranno”.
Il rugby non sarà più la tua priorità?
“Il rugby lo è sempre stato, ma inizio ad avere la mia età e i miei acciacchi. Vorrei concentrare le mie forze mentali anche sullo studio e sul lavoro. Chiaramente continuerò a fare sacrifici, finché giocherò a rugby troverò sempre il tempo e il modo di andare a fare il Sei Nazioni e i raduni”.
Cosa vuol dire cambiare nuovamente tutto: vita, abitudini, rapporti sociali?
“Per me non è un problema. La mia vita è sempre un cambiamento continuo (ride, ndr). Poi ho un carattere abbastanza forte. Parlo con tutti e non ho problemi con nessuno. Non mi spaventa e non rappresenta un problema”.
A proposito di mondiali: la sfida col Canada ha dato una bella iniezione di fiducia, pensate di potervela giocare con loro anche in Nuova Zelanda?
“In questo momento siamo in fase di pura preparazione. Nessuna stava davvero bene, in campo eravamo pesanti perché ci stiamo preparando per un obiettivo che deve ancora arrivare. Poi era un test match, abbiamo provato tantissime cose, e abbiamo perso perché non tutte sono state concretizzate. Sinceramente avrei voluto rigiocarci subito dopo, perché una vittoria era fattibile: in questi casi sale il nervoso e il rammarico perché potevamo farcela, ma ci stiamo preparando per il mondiale e saremo pronte quando sarà necessario”.
Sei spesso stata tra le più attive in questa stagione azzurra, ma difficilmente ti vediamo in campo per 80 minuti. Come mai?
“Perché non ne avevo più (ride, ndr). Bisogna dire che ho iniziato a giocare a 19 anni e prima non avevo mai fatto sport. Quando sono arrivata in Nazionale non avevo una grande base, ho cercato di lavorare e di imparare ma sono sempre rimasta molto “indisciplinata”, molto rude, che poi è anche una peculiarità del mio modo di giocare. La Francia mi ha dato tutto ciò di cui avevo bisogno, mi ha permesso di evolvere a livello fisico, mentale, di maturazione e comprensione del gioco. In Italia, in campionato, prendevo il pallone, andavo dritta e mi riusciva tutto. In Francia il livello è più alto, e quando in campo hai bisogno di trovare alternative per forza di cose poi si migliora. Poi sinceramente di quale numero ho addosso non me ne frega niente. Mi dicono spesso che sono una impact player, che quindi entra dalla panchina per alzare il ritmo: l’importante è entrare in campo, che siano 80 o 40 minuti mi interessa esserci. Chiaramente preferisco giocare di più, ma sono scelte tecniche legate anche al tipo di partita”.
Con l’arrivo di Tik Tok come sponsor del Sei Nazioni femminile, è cambiato anche il tipo di comunicazione. Spesso vi vediamo impegnate in queste challenge anche divertenti sul web. Non c’è il rischio che si discosti troppo l’attenzione dalle cose realmente importanti?
“Dobbiamo capire in che mondo viviamo. Purtroppo – almeno per me, poi per altri magari è un “per fortuna” – la visibilità si ottiene anche attraverso i social. Siccome il nostro movimento non è ancora molto sviluppato, se grazie a un video, un gioco, uno scherzo, riusciamo ad avere più visibilità e più gente allo stadio, sinceramente lo faccio volentieri. Se una persona è concentrata su quello che deve fare, lo è e basta, un video in cui ridiamo e scherziamo non vuol dire che siamo meno focalizzate sul nostro obiettivo. Fuori dal campo siamo umane: amiamo scherzare, ridere, ballare e fare le cretine, ci rappresenta anche questo. Capisco che da fuori qualcuno possa pensare “ma cos’è questa roba?”, però questo porta più persone a dire “ah, ma esiste il rugby femminile”. Dobbiamo saper sfruttare questi nuovi canali”.
Francesco Palma
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