Il test contro la Francia ha evidenziato una buona solidità delle azzurre, ma serve di più per fare un passo avanti
Quando si gioca contro una delle tre corazzate del rugby femminile mondiale – Inghilterra, Nuova Zelanda e, pur un gradino sotto, Francia – il giudizio deve essere per forza ancorato all’elevatissimo coefficiente di difficoltà della sfida in questione. Ancora di più se si parla di un test pre-mondiale disputato in piena preparazione.
Quello di Nizza si può considerare un vero e proprio stress test per le azzurre, che per 80 minuti sono state messe sotto pressione da una squadra che ha costantemente cercato soluzioni diverse in attacco e che a sua volta stava provando a mettere a punto i propri meccanismi offensivi.
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Dopo i primi 20 minuti, in pochi avrebbero pensato che il risultato non sarebbe più cambiato. Eppure, l’Italia è riuscita ad adattarsi al folle ritmo imposto dalla coppia Sansus-Drouin e alla grande fisicità del pacchetto francese, e ha messo in piedi una partita coraggiosa e concreta sul piano difensivo. E no, pur calando – leggermente – il ritmo, la Francia non ha tirato i remi in barca: se non altro perché con la profondità e la concorrenza che hanno in ogni ruolo, partite come queste rappresentano un’occasione importante per mettersi in mostra, e alzare il piede dall’acceleratore significa guardarsi il Mondiale da casa.
La Francia ha impostato il match su ciò che sapevano avrebbe potuto far male all’Italia: fisicità, ritmo e pick&go a manetta. Così sono arrivate le 3 mete nei primi 22 minuti, nonostante le azzurre fossero riuscite – seppur a fatica – a reggere il forte drive francese. Quando però le transalpine hanno cercato altre soluzioni, non sono più riuscite a concretizzare nulla, nemmeno nei 10 minuti in superiorità numerica causati dal giallo a Magatti.
Drouin, autrice di una prestazione splendida, ha provato più volte a mettere pressione al piede al nostro triangolo allargato, che però ha sempre risposto presente. In particolare, la stessa Magatti per due volte è andata a chiudere su due insidiosissimi calcetti dell’apertura francese, come nell’occasione della meta salvata per un soffio su Boulard.
Buoni segnali sono arrivati anche dalla mischia: un solo vero crollo, in occasione della terza meta, poi tanta concretezza anche sotto pressione. Di Giandomenico ha schierato quella che verosimilmente ritiene la sua prima linea titolare, con Turani a sinistra, Bettoni tallonatrice e Gai a destra, ma anche con l’ingresso dalla panchina di Maris, Vecchini e Seye la mischia ha continuato a tenere contro un pacchetto sulla carta più attrezzato.
In attacco, chiaramente, è mancato qualcosa. Al di là della bella meta di D’Incà, annullata per un fuorigioco di Rigoni sul calcio di Barattin, l’Italia è riuscita a creare poco. Difficile vincere la battaglia fisica contro una squadra del genere, ancor di più senza la miglior ball carrier azzurra, Sara Tounesi, senza una delle terze più in forma come Veronese, e con Franco e Sgorbini appena rientrate (ma buoni segnali da parte di entrambi).
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Dietro, l’assenza di Madia ha portato Di Giandomenico a riproporre Rigoni apertura con D’Incà 12, per poi ritornare al doppio play con l’esordio di Emma Stevanin, che ha velocemente superato l’emozione fornendo una buona prestazione. L’uscita di Sillari – precauzionale, solo una botta – ha poi privato le azzurre del vero cervello del reparto trequarti, rendendo ulteriormente più complicato trovare delle soluzioni contro una squadra di livello superiore.
L’impressione, avuta anche durante l’ultimo Sei Nazioni, è che l’Italia provi a giocare ingranando la quinta anche quando avrebbe bisogno di viaggiare a un regime più basso. Tanti errori sono stati commessi forzando delle giocate che non necessitavano di forzature: bastava una fase in più, o un mezzo secondo in più prima di decidere il da farsi, per eliminare quantomeno metà dei palloni persi a Nizza. Se tutto gira alla perfezione, gli ingranaggi sono ben oliati e tutte sono al posto giusto, questa squadra va che è una meraviglia, ma quando non è così – è in fase di preparazione a un Mondiale ovviamente non si può essere al 100% – serve un piano B, e forse non è ancora stato trovato.
Francesco Palma
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