Benetton, giovani e mercato: a 360° con Antonio Pavanello

Lunga intervista con il DG dei biancoverdi, spaziando dallo URC fino alle rescissioni contrattuali delle ultime stagioni

pavanello benetton treviso

Antonio Pavanello, DG del Benetton Rugby  – ph. Sebastiano Pessina

Sono passate tre settimane dal via ufficiale della stagione 2022/2023 e il Benetton Rugby appare in pieno fermento: una squadra che sta definendo un equilibrio fra quanto iniziato e consolidato nel corso della scorsa annata sportiva e le numerose novità di questa nuova avventura, sia dentro che fuori dal campo.

Alla guida del vascello biancoverde, il Direttore generale Antonio Pavanello offre uno sguardo d’insieme su tutte le questioni all’ordine del giorno della franchigia italiana. Con lui, abbiamo parlato del momento attuale della squadra, dello sviluppo dei giovani e di opportunità e difficoltà nella giungla del mercato dei giocatori.

Il Benetton ha affrontato un buon inizio di stagione con due vittorie in tre partite. Ora un’altra gara importante con i Dragons.

“Il primo esame di maturità lo abbiamo superato con gli Scarlets. Partita che dovevamo vincere, ma che non era semplice. Giocavamo in casa, la pressione era su di noi e loro si sono presentati con una formazione di tutto rispetto. Quando l’ho vista mi sono reso conto di quanto la squadra di Llanelli possa contare su una rosa di grande qualità, fra internazionali del Galles, della Nuova Zelanda e giocatori dei British & Irish Lions. Abbiamo condotto la gara abbastanza bene e l’abbiamo portata a casa. Primo esame passato, ora ne arriva un altro. I Dragons hanno uno stile di gioco differente, una squadra che magari non ha lo stesso prestigio degli Scarlets ma comunque di qualità e arriva in un momento particolare, dove hanno offerto prestazioni positive dopo le vicende di inizio stagione.”

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La trasferta di Dublino, unica sconfitta stagionale, non è forse da prendere come caso esemplare, ma quello che resta è un’impressione di continuare a far fatica nel fare risultato o buone prestazioni all’estero. Quali sono gli ostacoli che rendono tutto più difficile?

“Essere competitivi in trasferta è un passo fondamentale se si vuole ambire a qualcosa di più. Però il nostro obiettivo per quest’anno è rendere Monigo una fortezza. Per andare a vincere in trasferta dobbiamo andare ad affinare qualcosina in più, e a quello ci pensa lo staff tecnico. Per quello che riguarda la parte societaria, posso dire che proveremo a fare la nostra parte affrontando la questione dei viaggi, che è da migliorare: fino a 3 anni fa facevamo viaggi lunghi molte ore, poi siamo stati obbligati a fare voli charter in giornata durante la pandemia, oggi con prezzi impraticabili, e ora siamo tornati a fare i voli commerciali, ma con il problema della carenza di voli disponibili. Non è semplice organizzare gli spostamenti e la logistica, su questo dobbiamo cercare di andare oltre i nostri standard.”

In queste prime giornate c’è stata una discreta rotazione di giocatori nelle fila della squadra, ma molti sono anche rimasti a guardare, com’è inevitabile che accada con un roster da oltre 60 giocatori. Certamente arriverà il momento, fra infortuni e convocazioni, di dare fondo a tutte le risorse della rosa, ma ci sarà opportunità di far fare del minutaggio ai tanti giovani che hanno bisogno di giocare in attesa di avere la loro occasione in maglia biancoverde?

“Questo problema lo avevamo ovviato con la gestione dei permit players, che negli anni si era rodata fino a trovare equilibri con alcuni club con i quali noi lavoravamo. I giocatori facevano pre-season e alcuni periodi da aggregati alla nostra squadra, e in più avevano il beneficio di giocare con il proprio club di destinazione se non impiegati nelle nostre partite. Tutto questo è al momento al vaglio, perché c’è una discussione con i club del Top10 per trovare degli equilibri nuovi che tengano conto delle nostre esigenze, delle loro e di quelle degli atleti. La Federazione, a cui spetta la decisione finale, scioglierà presto le riserve in questo senso. Sicuramente quello che posso dire io è che questi ragazzi hanno bisogno del loro percorso di crescita individuale e personalizzato, di potersi allenare con i giusti parametri e di poter giocare con continuità.”

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Un discorso che vale anche per coloro che fanno parte dell’Accademia U22?

“Certo. Parliamo di ragazzi più giovani dei permit players, profili già pronti per il Top10. I giocatori dell’Accademia potrebbero lavorare anche in realtà adeguate di Serie A, per non essere mandati allo sbaraglio. Parlando con German Fernandez, responsabile della transizione per la FIR, e con gli altri componenti della FIR che si occupano dello sviluppo dei giocatori, quello che traspare è una volontà di personalizzare il percorso di crescita a seconda delle necessità dei singoli. Come dicevo: gli atleti sono al centro delle discussioni in atto, e non più in ultima posizione.”

A proposito di Accademia: come sta andando la neonata Accademia della Marca e da cosa nasce la proattività del Benetton nel fare formazione al di fuori del proprio club e anche al di fuori del proprio territorio di riferimento, come nel caso della partnership che avete instaurato con il Florentia Rugby, club toscano di Serie B?

“Lo dico sempre: cerchiamo di guardare come fanno i migliori e provare a riportare qualche cosa nel proprio contesto. Il Leinster in questo è l’esempio più fulgido in Europa: attraverso la Leinster Academy, ogni anno la franchigia irlandese porta sotto il proprio cappello tanti giovani che iniziano a respirare la Leinster culture, e che poi con il tempo diventano non solo e non tanto giocatori, ma anche allenatori, educatori, preparatori, fisioterapisti, video analyst, arbitri. Tutte risorse per il movimento. Noi abbiamo voluto fare qualcosa di questo tipo, investendo per cercare di creare una propria scuola per trasferire la propria filosofia. Il primo passo è farlo nel proprio territorio con l’Accademia della Marca. L’augurio è che il più ampio numero possibile dei giocatori che oggi fanno parte di questa struttura possano entrare a far parte dell’Accademia federale U22 qui in essere, legata alla prima squadra, e un domani vestire la nostra maglia e poi quella della Nazionale. Il secondo passo è instaurare rapporti con i club anche di altre regioni per lavorare con tutto il movimento. Abbiamo iniziato dal Florentia, club legato a noi anche perché squadra d’origine dei fratelli Cannone. Come con loro, in futuro auspichiamo che possano esserci altre e nuove collaborazioni.”

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In quest’ottica che vede il Benetton come parte del processo di crescita del movimento, come si inquadra il tuo doppio ruolo fra il club e la FIR?

“Come Benetton e come movimento dobbiamo tutti portare la Nazionale a vincere. Se la Nazionale vince, c’è più ciccia per tutti: significa avere un movimento sano, maggiori dividendi a livello economico e maggiore possibilità di avere risorse e investire in tutte le direzioni. Per questo come franchigia ci impegniamo in questo senso. Lo scorso anno dare 25 giocatori alle nazionali ha pesato: eravamo settimi a gennaio e invece ad aprile eravamo sprofondati in classifica. Ma sono sacrifici che facciamo con un fine preciso e speriamo di dare l’esempio perché tutti ci muoviamo nella stessa direzione, dal più piccolo club di provincia fino alle franchigie dello United Rugby Championship.”

Anche in questa stagione il Benetton ha portato a casa giocatori importanti dal mercato, provenienti dall’estero. Alcuni sono arrivati perché si sono aperte delle finestre di opportunità, mentre altri arrivano seguendo gli stessi percorsi tracciati da altri in passato, in termini di provenienza. Come avviene il processo di scouting e reclutamento dei giocatori dall’estero?

“Il recruitment è una mia responsabilità, ma in sinergia con lo staff. Insieme analizziamo le proposte che ci fanno le varie agenzie e in più ci confrontiamo e seguiamo giocatori che vediamo giocare in Nuova Zelanda, Sudafrica, Argentina e in generale nell’emisfero sud. Cerchiamo di portare a casa giocatori che soddisfano certi parametri prima di tutto comportamentali, ma anche tecnici e tattici che possano darci una mano a livello di rosa. Non è sempre semplice, visto che abbiamo a che fare con bilanci diversi da quelli di altre squadre europee, ma penso che abbiamo fatto un lavoro di reclutamento abbastanza buono nelle ultime stagioni. Siamo ben consci, inoltre, di essere sotto la lente d’ingrandimento di altri club europei, che guardano i nostri giocatori e vengono a bussare alla nostra porta per i profili che arrivano e poi esplodono con la nostra maglia. E’ una cosa che affrontiamo con serenità e trasparenza: sappiamo benissimo che se cerchiamo di fare la lotta contro i grandi club, finiremo per perderci, quindi instauriamo sempre un dialogo per arrivare ad un giusto compromesso. Detto ciò, penso che come club dobbiamo avere l’ambizione nel prossimo futuro di mirare a qualche giocatore di fascia più alta. Ovviamente a tutti piacerebbe avere un giocatore come Eben Etzebeth, per fare un nome, ma siamo anche ben consci che non possiamo permetterci atleti con un ingaggio che si aggira intorno al milione di euro a stagione. Tuttavia nel prossimo futuro vorremmo quantomeno provare ad aggiudicarci qualche giocatore affermato a livello internazionale.”

Come mai il focus del vostro scouting si concentra sull’emisfero australe e in particolare sui paesi a cui hai fatto riferimento?

“Due motivi principalmente: il primo è che giocatori che militano in altre divisioni professionistiche europee fanno parte di club più ricchi, ma hanno anche una sicurezza e stabilità contrattuale e lavorativa che li invita a preferire rimanerci; il secondo è che comunque dall’emisfero sud continuano ad arrivare giocatori molto meno usurati a livello fisico. I giocatori che arrivano da lì ci vedono come una porta ed un trampolino per arrivare tra le grandi d’Europa ed arrivano qui con i giusti stimoli. Ricordo sempre che Monty Ioane, Hame Faiva, Toa Halafihi, Eli Snyman, Irné Herbst sono tutti giocatori che nessuno conosceva prima che li prendessimo, qualcuno ha anche strabuzzato gli occhi chiedendosi chi andassimo a pescare, ma noi li abbiamo reclutati, sono arrivati con le giuste motivazioni, hanno lavorato bene e oggi sono giocatori importanti, alcuni stanno facendo bene anche con altri club.”

Nelle ultime stagioni abbiamo visto diversi contratti non giungere alla loro naturale conclusione, ma venire rescissi in corso d’opera. La difficoltà che hai descritto è quella di essere nel mirino di club più grandi e con maggiori mezzi economici che vengono a prendersi i giocatori che sono esplosi con i colori biancoverdi. Ci sono però anche altri ostacoli? Ad esempio quanto incide l’impossibilità di far firmare un contratto di lavoro da atleta professionista perché non previsto dalla legislazione italiana?

“Sicuramente incide. In Francia, ad esempio, c’è una gestione previdenziale. In Inghilterra, come Oltralpe, i giocatori sono riconosciuti come lavoratori a livello normativo. Da noi il rugby e tante altre federazioni sono ancora catalogate come sport dilettantistici. Un parametro che nel prossimo futuro sembrerebbe possa cambiare. Detto questo, però, noi sappiamo che i contratti in essere potremmo farli rispettare. Questo significa però avere persone scontente e persone che perderai certamente al termine del contratto, senza aver capitalizzato la loro permanenza: non lasciano niente al club. Ci sono casi diversi: con alcuni giocatori sciogliamo il contratto dopo che siamo riusciti a trovare un accordo per il rilascio, altri contratti vengono risolti perché il giocatore non è più gradito al club per motivi comportamentali o tecnici. In questi anni sono capitate un po’ tutte queste cose. Dico anche che è capitato anche a noi di comportarci come i grandi club fanno con noi nei confronti di altri soggetti, dialogando con club più piccoli per farci dare i giocatori. Magari fa meno notizia, ma accade comunque.”

Lorenzo Calamai

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