Prima i brividi, poi la vittoria per la storia: l’analisi di Giappone-Italia

Le grandi squadre vincono anche giocando male, e le azzurre hanno dimostrato di poter portare a casa anche partite di questo tipo

Prima i brividi, poi la vittoria per la storia: l'analisi di Giappone-Italia

Prima i brividi, poi la vittoria per la storia: l’analisi di Giappone-Italia. ph. World Rugby via Getty Imagaes

Ci sono partite in cui conta vincere e basta, poi sulla prestazione e sugli errori ci si può ragionare dopo: Giappone-Italia è una di queste. Le azzurre hanno giocato la partita meno brillante del loro mondiale, con tante imprecisioni e poca lucidità in fase offensiva. Probabilmente la paura di vincere ci ha messo del suo, a dimostrazione di quanto giocare da favorite cambi le carte in tavola a livello mentale, aggiungendo ulteriore carico a una partita che già di suo valeva un pezzo di storia del rugby italiano. Eppure il risultato è arrivato, ed è quello che serviva per qualificarsi ai quarti di finale e provare a giocarsi le proprie carte contro la Francia.

Non è stata una partita facile, per nulla. Lo dimostrano i primi 15 minuti, giocati dall’Italia sempre in attacco e sempre nella metà campo giapponese, ma caratterizzati da una frenesia e una tensione che nelle partite precedenti non si erano visti, e che infatti hanno fruttato solo 5 punti nonostante il grande lavoro svolto. Il Giappone, dall’altra parte, ha fatto esattamente la partita che ci si aspettava: lotta furiosa sul punto d’incontro e azioni offensive all’insegna dell’imprevedibilità, con giocate rischiose a volte efficaci e a volte al limite del folle, come la scelta assurda di giocare un calcio di punizione veloce sui propri 5 metri. In quel frangente, le giapponesi sono state graziate da un fallo commesso dalle azzurre.

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Proprio l’indisciplina è stato uno dei principali problemi del match di Auckland: l’Italia ha commesso ben 17 falli, soffrendo la rapidità delle giapponesi nel punto d’incontro e pagando una certa frenesia nel provare a rispondere alle accelerate avversarie. Il dominio fisico che serviva si è visto solo a tratti, in particolare in mischia ordinata le azzurre hanno fatto più fatica del previsto prendendo anche 3 calci di punizione contro.

Dall’altra parte, l’assunto secondo il quale le grandi squadre vincono le partite che contano anche giocando male rimane sempre valido. Anzi, oggi l’Italia ha ancora una volta dimostrato di essere tra le grandi del rugby mondiale, portando a casa una partita difficile e contro un avversario ostico nonostante una prestazione non eccelsa. Ad Auckland contava vincere, e così è stato. Imparare a conquistare queste partite è un passo in avanti importante dal punto di vista della maturità sportiva, e rappresenta il passaggio dall’essere “solo” una bella squadra che vince giocando bene all’essere realmente competitive a livello Mondiale.

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Il match è andato avanti a fiammate, come si poteva immaginare con in campo due squadre che impostano il proprio gioco sulla ricerca degli spazi e sulle iniziative del proprio reparto arretrato. Alla lunga è venuta fuori la superiorità tecnica dell’Italia, con le “Sakura XV” che hanno pagato errori troppo gravi per poter vincere a questo livello, come il calcio di punizione in touche mandato clamorosamente fuori nell’ultima occasione per ribaltare la partita al 73′, o precedentemente l’occasione buttata da Matsuda al 60′, quando dopo aver anticipato Ostuni Minuzzi su un pallone vagante si è fatta sorprendere dal rimbalzo, quando sarebbe bastato controllarlo per volare indisturbata in meta.

Le azzurre hanno vinto prima di tutto contro la paura e le aspettative di un match che poteva mettersi molto male, soprattutto nel primo tempo, placcando tutto quello che c’era da placcare, costringendo il Giappone a forzare sempre la giocata oltre il limite e portandolo a sbagliare. Ancora una volta, infatti, spiccano le ottime percentuali al placcaggio delle azzurre: la player of the match Giada Franco ha messo a segno 15 placcaggi riusciti su 16, con un turnover e una rimessa laterale rubata. Solita garanzia anche Michela Sillari, che oltre ad aver segnato dei punti fondamentali per la vittoria finale ha fatto un grandissimo lavoro in difesa.

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Bene, come al solito, anche Giordana Duca, 10 su 11 al placcaggio e tra le più pericolose in attacco, così come la capitana Elisa Giordano, brava a prendersi la squadra sulle spalle nel momento più difficile del match. Da lei, infatti, è partita l’azione che ha portato al penalty dell’8-5, subito dopo il pareggio giapponese. Bene anche Francesca Sgorbini, che con un grande offload ha ispirato la prima meta delle azzurre e in difesa è stata come sempre tra le più attive, con 8 placcaggi riusciti su 9. In campo aperto, ancora una bella prestazione di Sara Seye, autrice di 11 placcaggi e sempre avanzante a contatto, ma pesano i problemi in mischia ordinata che l’hanno portata per 2 volte a subire un calcio di punizione contro.

In attacco, il match si è risolto su quello che è il punto di forza dell’Italia: una manovra ben coordinata e basata sui guizzi del triangolo allargato, con la solita Muzzo tra le migliori in campo e Ostuni Minuzzi che batte sempre l’avversaria diretta. Il problema, rispetto alle altre partita, è stato la mancanza di continuità nell’azione: spesso, dopo un break o una carica avanzante, le azzurre non riuscivano ad insistere, perdendo l’abbrivio avanzante e a volte anche il pallone. Non è un caso che la meta che ha chiuso la partita sia arrivata nel finale di partita, con le giapponesi ormai cotte e le azzurre che sono finalmente riuscite a dare continuità al proprio multifase, finalizzandolo con Melissa Bettoni.

Non serve nemmeno specificare il fatto che contro la Francia servirà tutt’altra partita, sia perché i due incontri saranno talmente diversi in termini di contesto, pressione e aspettative che non avrebbe senso cercare un termine di paragone, sia perché tutte le ragazze e lo staff sono sicuramente ben consapevoli di non aver giocato la partita che ci si aspettava, e lavoreranno duro per correggere gli errori commessi e presentarsi contro la Francia al massimo delle proprie possibilità.

Francesco Palma

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