Le Azzurre hanno messo a dura prova la Francia in mezzo al campo e nel breakdown, ma la sofferenza in mischia e touche è costata loro una partita che si poteva vincere
Si sa, le partite con la Francia possono prendere le direzioni più disparate, e per larghi tratti quella del Lanfranchi di Parma – valida per la prima giornata del Sei Nazioni – sembrava poter finire nelle mani di un’Italia coraggiosa e capace di depotenziare le armi francesi per almeno un’ora. I meriti azzurri sono evidenti, ma non sono bastati ad avere la meglio su una Francia più cinica e soprattutto molto più concreta: le transalpine hanno fatto le cose semplici, ancorandosi ai fondamentali e in particolare alle fasi statiche, mettendo nel mirino i punti deboli dell’Italia e costruendo da lì il proprio successo.
Le fasi statiche
Dal punto di vista dell’approccio alla partita e del lavoro in campo aperto c’è poco da dire: l’Italia ha fatto quello che doveva fare, marcando nelle uniche due occasioni concesse dalle transalpine e placcando in ogni zona del campo durante i lunghi assalti francesi. Il problema sta tutto nelle fasi statiche, e se mancano – come successo a Parma – certe partite purtroppo non si vincono. Se il vento può parzialmente fungere da attenuante per gli errori al lancio, la mischia ha fatto molta più fatica di quanto si potesse immaginare. L’uscita anticipata di Turani (al 31′) ha complicato le cose, ma già da prima le Azzurre stavano soffrendo tanto, e una Francia non trascendentale – soprattutto per merito dell’Italia – si è ancorata a questo per risolvere una partita che si stava mettendo male.
Dopo la meta di D’Incà, la Francia ha iniziato un martellamento continuo sui punti deboli mostrati dalle Azzurre, mostrando come sempre una capacità fuori dal comune di leggere il gioco e nascondendo il pallone alle avversarie nel momento in cui poteva davvero concretizzarsi il sorpasso. In attacco, non ha pagato la scelta di Raineri di ridisegnare il reparto arretrato dopo l’uscita di Madia, rinunciando al doppio play e schierando Rigoni apertura, con D’Incà e Sillari centri e Stefan spostata all’ala. Da questo punto di vista non hanno giovato le giornate negative di Rigoni, soprattutto nel gioco al piede, e della stessa Madia (non al meglio). Allo stesso modo, i troppi errori al lancio di Vecchini hanno condizionato i tentativi delle Azzurre di uscire dalla zona rossa nel momento più difficile, dal 60′ in poi.
Le due partite
Fondamentalmente, nelle fasi statiche e in mezzo al campo si sono viste due partite diametralmente opposte. Nella prima, purtroppo, la Francia ha dominato dall’inizio alla fine. Nella seconda, invece, si è vista un’Italia molto più vicina alle avversarie: una squadra capace di giocare con ritmo e intensità, e di finalizzare le poche occasioni concesse. In particolare, le Azzurre hanno lottato furiosamente nel breakdown, inquinando più volte i possessi francesi e riuscendo a conquistare ben 8 turnover. Anche dal punto di vista della disciplina l’Italia non ha sfigurato: vero che 12 calci di punizione concessi sono un po’ oltre il limite “canonico” per le partite del livello internazionale, ma 6 di questi sono arrivati a causa della sofferenza in mischia e non per falli veri e propri commessi in campo.
Allora cosa ha impedito alle Azzurre di ribaltare l’inerzia del match? Prima di tutto, la meta del 7-15 subita in superiorità numerica dopo sole 2 fasi brucia e non poco, e in generale andrà analizzato – soprattutto dal punto di vista mentale – il blackout occorso in quei 10 minuti dove le Azzurre avrebbero potuto prende in mano la partita, e che invece hanno chiuso in sofferenza e con una meta sul groppone. Chiaramente il giudizio sulla prestazione va soppesato al valore dell’avversario e al movimento che rappresenta. La profondità francese, a tutti i livelli, è impressionante: basti pensare alla bella partita giocata da Carla Arbez (anche autrice di una meta) che in gerarchia sarebbe la terza apertura ed era all’esordio assoluto con la maglia della nazionale. Proprio per questo, c’è il dispiacere di non aver portato a casa l’ennesimo scalpo importante della storia del rugby azzurro, e contro la Francia sarebbe stato il secondo in pochi mesi, dopo il test vinto a Biella lo scorso settembre.
Le migliori
Il lavoro in mezzo al campo di giocatrici come Duca (22 placcaggi) e Sgorbini (16 placcaggi, e soprattutto autrice di un mezzo miracolo su Menager che già pregustava la meta) è stato ancora una volta fondamentale, così come quello di Giada Franco – forse uscita troppo presto – e della stessa Vecchini, che in mezzo al campo ha dato ben altro apporto rispetto al lancio. Ottimo, come sempre, l’ingresso a partita in corso di una Sara Tounesi molto commossa durante l’inno.
Dietro, bene Stefan da numero 9, molto meno impegnata invece dopo il cambio di posizione. Ottimo anche l’impatto di Alyssa D’Incà, sia per quanto riguarda i punti d’incontro (2 turnover fondamentali) sia in attacco, anche se in difesa sbaglia la salita difensiva sulla meta poi annullata a Menager. Sempre importante anche l’atletismo di Aura Muzzo (con tanto di doppia capriola per sfuggire al placcaggio che farà il giro dei social), mentre Ostuni Minuzzi non ha avuto molte opportunità per fare la differenza.
Francesco Palma
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