Eleggibilità, rugby a due velocità, squadre giovanili: intervista al vice-presidente FIR Antonio Luisi

Tutte le novità per lo sviluppo del rugby di base che saranno proproste in Consiglio Federale alla fine di aprile

Antonio Luisi Vice Presidente FIR

Eleggibilità, rugby a due velocità, squadre giovanili: intervista al vice-presidente FIR Antonio Luisi

Quello dello sviluppo del rugby di base è un tema sempre molto sentito per l’impatto che genera sulla vita di ogni club: dalle questioni sull’eleggibilità nei campionati italiani all’esistenza di un “rugby a due velocità”, fino alla graduale reintroduzione dei campionati obbligatori giovanili a supporto delle squadre seniores, a partire dalle società di Top 10.

Sono tanti i temi che abbiamo affrontato nella nostra intervista al vice-presidente della Federazione Italiana Rugby, Antonio Luisi che ci ha spiegato in che modo e con quali obiettivi si stia lavorando in vista delle prossime stagioni.

“Stiamo lavorando molto come Consiglio Federale confrontandoci e ascoltando i Comitati Regionali e i club, per arrivare ad avere una visione completa e oggettiva delle cose. Per garantire un’armonia complessiva del movimento. L’intento, nel fare le regole, è di tenere sempre conto di quale impatto queste possono avere sulla collettività.”

Quali sono in questo momento i criteri per definire “italiano” un giocatore in lista gara?

“Per quanto riguarda i giocatori che possono essere utilizzati come italiani in lista gara, dobbiamo in premessa ricordare che fino a due anni fa non era importante l’origine o la cittadinanza del giocatore ma solo la sua formazione: le atlete e gli atleti erano considerati italiani solo se si erano rugbisticamente formati nel nostro Paese. In questa nuova fase la FIR ha convenuto di allinearsi alla regola nr. 8 di World Rugby, che considera un giocatore eleggibile per una Nazionale laddove dimostri uno stretto legame con il Paese per cui intende giocare. Un elemento vincolante è il fatto che il giocatore stesso o un genitore o un nonno sia nato in quel Paese. Inoltre, abbiamo comunque mantenuto la possibilità di considerare italiani coloro che hanno iniziato a giocare a rugby in Italia, a prescindere dalla cittadinanza”.

Quali saranno i prossimi cambiamenti?

“Resta aperta la questione riguardante chi ha trisavoli italiani e che non presenta profili di eleggibilità per la nazionale italiana: molti club ci stanno chiedendo di tenere conto dei cittadini italiani che – avendo cittadinanza italiana, non necessariamente il passaporto – fanno una scelta di vita e decidono di venire a vivere in Italia, spesso dall’Argentina o dal Sudafrica. Noi naturalmente, come sempre avviene, analizzeremo in Consiglio Federale questa istanza, prendendo in esame un periodo minimo di permanenza continuativa nel nostro Paese per considerarla una scelta di vita. Il principio di fondo, comunque, sarà sempre la tutela dell’attività domestica e dell’operato dei club verso i propri settori giovanili e propaganda. In ogni caso non precludiamo aprioristicamente alcuna eventualità di apertura. Dalla norma appare chiaro che le scelte di FIR non sono volte a limitare il tesseramento di un giocatore con cittadinanza italiana e non eleggibile ma ne fissa solo i limiti di utilizzo in lista gara. I limiti sono quelli già presenti in Circolare Informativa: 4 giocatori in Eccellenza maschile, 2 in Eccellenza femminile e Serie A maschile, 1 in Serie A femminile, Serie B e C”.

Ci saranno quindi delle implicazioni anche per il Top 10?

“Oggi il campionato di Top 10, come detto, prevede l’inserimento in lista gara di 4 giocatori non eleggibili. Se per caso ci fosse un ragazzo con cittadinanza italiana che, pur non essendo eleggibile, fa una scelta di vita e viene a vivere in Italia, non possiamo di certo ignorarlo, e dovremo prendere seriamente in considerazione la possibilità di farlo inserire in lista gara come italiano. Chiaramente, come detto prima, anche in questo caso la possibilità di equipararlo varrà solo dopo il raggiungimento del periodo minimo di residenza continuativa in Italia che stabilirà il Consiglio Federale”.

Quali saranno gli altri cambiamenti che vuole proporre per il rugby di base?

“Se parliamo di campionati seniores, sono tutti tornei ad iscrizione limitata per i quali bisogna guadagnarsi sul campo il diritto di partecipare. Il problema è che oggi, nel post pandemia, ci troviamo un rugby italiano a due velocità: ci sono società ben strutturate con organici importanti, ambizioni, progetto tecnico e risorse idonee per cercare di ambire al livello più elevato possibile; ci sono poi delle società che sono più orientate a consolidare la propria attività e nel ricostruire il tessuto societario che era prima della pandemia. Stiamo ponendo in essere delle deroghe, alcune già in vigore dalla scorsa stagione, per assicurare a tutti le stesse opportunità e riconoscere pari dignità ad ognuno dei nostri Affiliati. Prendiamo l’esempio dell’under 19, che conta oggi 85 squadre partecipanti: nel campionato élite ci sono 19 società che investono tanto sostenendo trasferte impegnative, da Torino a Treviso o da Colorno a Roma. Le altre squadre magari hanno esigenze diverse, per agevolarne la partecipazione quindi abbiamo previsto per queste società di disputare la gara fino a 12 giocatori in campo, con l’adeguamento dei numeri: chiaramente la partita viene considerata persa per chi ha determinato tale condizione, ma la squadra perdente non riceve né punti di penalità né multe, né sarà considerata rinunciataria alla gara, perché altrimenti alla terza rinuncia sarebbe esclusa dal campionato”.

Dove verranno applicate queste deroghe?

“Le adatteremo a tutti i livelli regionali non élite, sia juniores che in Serie C”.

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Ad oggi qual è lo stato attuale del rugby italiano come numero di tesserati? La pandemia che effetti ha avuto?

“Abbiamo perso oltre il 20% del movimento, nonostante si sia registrato un incremento importante a livello di minirugby. Nella fase delle restrizioni, quando non si poteva fare sport al chiuso, i nostri campi sono esplosi e i genitori hanno molto apprezzato l’organizzazione e il lavoro dei nostri Club. Chiaramente tutti gli sport hanno gli stessi problemi così come le altre federazioni. Io stesso ho parlato con il responsabile del community rugby inglese, e mi ha detto che stanno affrontando i nostri stessi problemi e sono percentualmente nella stessa situazione, anche se ovviamente i loro numeri sono completamente diversi”.

Il ritorno alle categorie pari è legato anche alla volontà di ripartire a pieno regime?

“Sì, non c’è nessuna rivoluzione, semplicemente si torna alla situazione precedente, chiudendo un provvedimento emergenziale che aveva consentito alla FIR di non far saltare ai ragazzi una categoria senza mai averci giocato. Immaginiamo i ragazzi dell’under 14 al momento dell’esplosione della pandemia, al rientro alle attività, due anni dopo, si sarebbero ritrovati in under 18, senza fare alcuna esperienza nel livello intermedio. Il passaggio alle categorie dispari e ora il ritorno a quelle pari hanno consentito e consentiranno il giusto recupero ai ragazzi: prendiamo ad esempio una squadra under 15, il prossimo anno sarà un under 16 e manterrà praticamente lo stesso gruppo, quindi avranno un anno in più di adattamento”.

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A proposito di rugby giovanile, le squadre di Top 10 saranno obbligate ad avere tutte le selezioni giovanili?

“L’obbligatorietà, sospesa a causa della pandemia, sarà gradualmente reintrodotta nel tempo, in modo crescente in base alle varie categorie seniores. Il Consiglio Federale valuterà un graduale reinserimento delle attività obbligatorie a partire dalla categoria Under 14 in poi”.

Francesco Palma

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