Il nuovo headcoach vorrebbe togliere l’obbligo di giocare in un club in patria per essere eleggibile con la nazionale
Scott Robertson, allenatore entrante sulla panchina degli All Blacks dopo la RWC, ha rivelato come vorrebbe aprire la possibilità di selezione in nazionale anche ai giocatori che militano in squadre oltreoceano. Infatti, la politica attuale di convocazione con i “Tutti neri” impone l’obbligo di giocare con uno dei club della federazione neozelandese per essere eleggibile.
Nella storia recente, l’unico caso di infrazione di questa norma fu quello di Matt Todd, che nel 2018 fu chiamato a sostituire Sam Cane dopo il grave infortunio al collo. Robertson ha dichiarato la sua posizione favorevole all’abolizione di questa normativa, con le discussioni tra lui e la federazione che sono in corso.
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Per rinforzare la sua posizione, Robertson ha portato l’esempio del Sudafrica e di Bauden Barrett e Ritchie Mo’unga, entrambi con le valigie pronte per il Giappone dopo l’evento iridato, che con le norme vigenti che lascerebbero gli All Blacks senza apertura. Il Sudafrica ha abbandonato le restrizioni simili a quelle ora vigenti in Nuova Zelanda nel 2018, con Cheslin Kolbe che, pur giocando a Tolosa, ha preso parte alla spedizione per il Mondiale in Giappone, ed è stato di vitale importanza per la vittoria dell’evento.
Mo’unga, sulla situazione attuale per la convocazione in nazionale, ha dichiarato: “La federazione si deve adattare più velocemente, altrimenti molti giocatori andranno via prima e non potrebbero più rappresentare il loro paese. Molti giocatori ogni anno stanno approdando in Giappone, e dunque c’è bisogno, presto o tardi, di un adattamento delle regole per le convocazioni. La nazionale non può essere un ostacolo all’andare all’estero e avere la possibilità di guadagnare di più, visto che la nostra carriera professionale è molto più corta di una normale”.
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