Cinque milioni di praticanti persi: il futuro incerto dello sport italiano

Il vertice del comitato olimpico nazionale italiano si è espresso sulle criticità del ricambio generazionale

Giovanni Malagò Presidente del CONI

Lo sport italiano non è un paziente malato, ma rischia di diventarlo nel prossimo futuro. Lo dicono i numeri e lo conferma anche il Presidente del CONI Giovanni Malagò.

Nel corso di un’intervista concessa alla trasmissione Professione Presidente di DAZN, è emersa una fotografia complessa, in cui entrano in gioco diverse variabili che potrebbero mutare i risultati eccellenti ottenuti negli ultimi anni dalle formazioni Azzurre.

Tra i fattori di maggiore rischio ci sono due problemi atavici del nostro paese: il calo demografico e il deficit strutturale sul piano dell’impiantistica sportiva.

Eppure l’Italia, nonostante si trovi a competere con delle nazioni spesso superiori per numero di popolazione e risorse economiche, staziona al sesto posto nella classifica complessiva del medagliere olimpico di tutti i tempi, dietro a Stati Uniti, URSS, Germania, Regno Unito e Francia.

Cinque milioni di praticanti persi in 25 anni

“Siamo dei giganti nello sport nel mondo – Ha dichiarato Malagò – Siamo considerati dei fenomeni, partendo dal presupposto che non facciamo lo sport a scuola, tant’è vero che i miei colleghi dei famosi 205 comitati olimpici nazionali mi chiedono come facciamo a fare questi risultati. Io spiego che abbiamo questo modello creato nel tempo: le famose società sportive dilettantistiche”.

Un modello quello dilettantisco, che è preponderante anche nel mondo del rugby italiano, anch’esso attanagliato dalla difficoltà di accesso negli istituti scolastici e dal rischio di una decrescita di praticanti.

“Dal 1998 siamo sempre 60 milioni di italiani, tutti invecchiati – ha aggiunto Malagò – Certo, è una cosa positiva perché significa che siamo longevi e abbiamo una qualità di vita migliore rispetto ad altri Paesi. Però, dal 1995 a oggi, abbiamo anche perso 5 milioni di italiani tra i 18 e i 35 anni che sono formalmente, salvo rare eccezioni, quelli che vanno alle Olimpiadi. Noi siamo molto capaci, abbiamo i tecnici migliori, la cultura, ma soprattutto abbiamo una grandissima scuola dello sport, ma non possiamo essere eterni su questo”.

Il futuro incerto dello sport italiano

Il ricambio generazionale è un tema scottante che tocca da vicino qualsiasi disciplina. Gli sport di squadra, così come quelli individuali, si trovano a dover aggiornare regolarmente gli interpreti a loro disposizione.

L’unico modo per non perdere in competitività è quello di attingere ad un serbatoio di praticanti ampio, altrimenti diventa molto più difficile costruire percorsi agonistici qualitativi.

Un problema che il rugby di casa nostra conosce da vicino. La base del movimento non sempre è riuscita ad alimentare un flusso costante di giocatori in entrata verso il vertice, rappresentato dalla squadra nazionale come punta massima. E i risultati per lungo tempo sono rimasti negativi, sia per la maggiore che per le giovanili.

Se la popolazione non aumenterà, il futuro può diventare un’incognita a tinte scure. Il Presidente del CONI non si nasconde.

“Le mie previsioni? Sono di natura un grande ottimista, lo sanno tutti, abbiamo del dati molto confortanti, estremamente lusinghieri. Nei due anni successivi Tokyo 2020 e Pechino 2022 siamo rimasti la prima nazione in Europa, rimanendo dietro nel mondo solo a Stati Uniti e Cina, le cui potenze demografiche ci fanno impallidire. Ci sono i presupposti per rimanere a questi livelli fino al 2024. Quello che ho sempre detto è che nello sport non ti inventi niente: di conseguenza dico che se non succede qualcosa di diverso da Parigi in poi certi risultati non potranno più arrivare”.

Leggi anche: Italia, Simone Ferrari: “C’è concorrenza fra noi piloni. Ora pensiamo alla World Cup poi al futuro” 

La soluzione dello ius soli sportivo e la parità di genere

lo ius soli sportivo, secondo Malagò, sarebbe una soluzione necessaria sia per trattenere atleti promettenti nelle fila delle varie nazionali, sia per velocizzare un procedimento lungo che i figli di stranieri in Italia devono affrontare quando scatta il diciottesimo anno di età.

“Spesso diventa una provocazione politica e so benissimo quanto il Paese si sia spaccato su questo tema. Un diciottenne che ha vinto raggiungendo traguardi, ha cantato l’inno italiano, parla addirittura solo italiano, dopo che noi lo abbiamo formato ed è stato nella nostra Nazionale, magari va a giocare per il Paese di origine dei genitori oppure in quei paesi che danno il passaporto prima. Allora dico: ammesso e non concesso che si vada avanti o meno, vogliamo fare in modo che lo ius soli sportivo in automatico dia questo riconoscimento?”.

Dallo ius soli sportivo, Malagò ha promosso un’altra battaglia di civiltà raccontata in Professione Presidente, quella sulla parità di genere: “Qui al Coni abbiamo fatto una legge prima di tutti che vede almeno il 30% delle donne in rappresentanza. Rispetto a prima ce ne sono molte più, il futuro è loro”.

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