Contro il Sudafrica prestazione impressionante di una squadra ritrovata
Nel 2019 gli All Blacks sono arrivati terzi alla Rugby World Cup in Giappone, eliminati dall’Inghilterra in semifinale. Da allora, malgrado una percentuale di vittorie assolutamente invidiabile a livello assoluto (50% nel 2020, 80% nel 2021, 69% nel 2022), la Nuova Zelanda ha attraversato forse una delle crisi più nere da quando il rugby è diventato professionistico nel 1995.
Per la squadra in maglia nera, infatti, non valgono i parametri di giudizio convenzionali. Parlando di una delle squadre più dominanti della storia dello sport, che è sempre stata all’avanguardia nello sviluppo del gioco nel corso degli ultimi 30 anni, le sconfitte arrivate per mano di Argentina, Sudafrica, Francia e Irlanda e i pareggi a cui sono stati costretti da Australia e Inghilterra, sono un numero di inciampi sostanzialmente senza precedenti.
Per questo motivo, la vittoria convincente ottenuta sabato 15 luglio nel secondo turno del Rugby Championship 2023 contro il Sudafrica ha un valore speciale. Una partita che ha coinciso non solo con 5 punti in classifica, ma anche con la miglior prestazione da quattro anni a questa parte, contro un avversario di grandissimo valore come gli Springboks.
La performance ha in qualche modo ricalcato quella offerta contro l’Argentina, malgrado i diversi cambi nel XV titolare: un grandissimo avvio di gara, giocando ad una intensità inarrivabile e con una ritrovata qualità, ha permesso di erigere un notevole cuscino di punti, 17; poi, una difesa aspra, concentrata, in trincea per gran parte della partita, resistendo al ritorno degli avversari.
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Rispetto ai deludenti All Blacks del 2021 e della prima parte del 2022, gli All Blacks sono tornati ad avere un piano di gioco chiaro, strutturato ed evidentemente condiviso dai giocatori, che sembrano essere di nuovo completamente coinvolti in quello che la squadra cerca di fare in campo. I pilastri della grande intensità e dell’idea di gioco sono sorretti da una tecnica individuale d’élite. I giocatori neozelandesi hanno sempre avuto un livello di skills altissimo, ma negli anni scorsi sembravano arrugginiti nell’eseguire le proprie abilità sotto pressione. Oggi, invece, ai tuttineri riesce tutto, segno di un lavoro dedicato, di una rinnovata fiducia e della influenza biunivoca che la condivisione di un chiaro piano di gioco ha sulla performance.
Su queste fondamenta, sabato si sono innestate alcune situazioni interessanti. Nella prima parte dell’incontro gli All Blacks hanno monopolizzato il possesso vincendo ogni contesa in aria: Cheslin Kolbe e Makazole Mapimpi sono stati costantemente battuti dai dirimpettai nella ricezione dei precisi box kicks di Aaron Smith, Scott Barrett e Brodie Retallick hanno messo in difficoltà la rimessa laterale sudafricana costringendoli ad un paio di lanci persi.
Gli Springboks sono poi riusciti a reagire. Con grande forza sono riusciti a rientrare in partita ad inizio ripresa, a testimonianza della loro qualità. Hanno però infine pagato l’inconsueta inconsistenza difensiva dimostrata nei primi e negli ultimi minuti. Damian Willemse, Damian de Allende e Lukhanyo Am sono sembrati particolarmente arrugginiti, Willie le Roux ha mostrato qual è il contrappasso di averlo costantemente in campo: un playmaker cruciale per l’attacco sudafricano (grandissimo assist per Kolbe), ma un difensore mediocre nell’uno contro uno.
Dall’altra parte, invece, la difesa degli All Blacks è stata precisa, determinata, resiliente, capace di non concedere punti agli Springboks prima dell’intervallo, quando il Sudafrica bussava forte alla porta della loro area di meta.
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E così è arrivata questa vittoria, una vera e propria dichiarazione di forza che riposiziona gli All Blacks a ridosso delle prime tre squadre del rugby mondiale: Francia, Irlanda, Sudafrica. Adesso per loro il rischio è quello di essere pronti troppo presto.
La Nuova Zelanda ha dimostrato una condizione atletica brillantissima, superiore a quella degli avversari del Rugby Championship. Una brillantezza che viene da un’ottima stagione di Super Rugby Pacific, ma che con l’andare avanti dei mesi e con l’accumularsi delle partite, potrebbe logorarsi. D’altra parte la principale differenza fra Nuova Zelanda e Australia e il resto del mondo, in vista del mondiale, è questa: le nazionali oceaniche hanno avviato la stagione a gennaio e andranno sostanzialmente dritte fino a fine ottobre, le altre si sono fermate a maggio e riprenderanno a fine luglio a giocare.
Per quello che si è visto nei primi 160 minuti del Rugby Championship, comunque, gli All Blacks hanno appena fatto rialzare drasticamente le loro quotazioni in vista della Rugby World Cup. E alla guida della nazionale c’è sempre lo stesso Ian Foster che fino all’altro ieri era considerato una sorta di incapace: immaginate quale rivalsa potrebbe essere per lui tornare dalla Francia con una coppa tra le mani.
Lorenzo Calamai
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