Italia under 20: cosa ci lascia questo Mondiale?

Cosa ha funzionato e cosa è mancato: un bilancio del World Rugby Championship appena concluso, e da cui trarre insegnamenti importanti

Italia under 20: cosa ci lascia questo Mondiale? (ph. World Rugby/Getty Images)

Italia under 20: cosa ci lascia questo Mondiale? (ph. World Rugby/Getty Images)

Non è stato il Mondiale under 20 che ci si aspettava: l’Italia veniva da un importante terzo posto al Sei Nazioni, in cui aveva fatto punti in tutte le partite, e puntava a confermarsi ad alti livelli anche nel World Rugby under 20 Championship. È stato invece un Torneo molto più difficile del previsto, concluso all’11° posto con una salvezza conquistata solo all’ultima partita, dopo aver sognato una storica semifinale che mai come questa volta è sembrata vicina.

Partendo da un dato puramente statistico, l’11° posto costringerà gli Azzurrini all’ultima fascia nei sorteggi del prossimo Mondiale, con la concreta possibilità di finire in un girone di ferro. Per il resto, è sempre difficile giudicare le prestazioni di una squadra di ragazzi che devono ancora crescere e acquisire esperienza. L’esperienza, però, si acquisisce anche nelle difficoltà, e se questo mese difficile avrà insegnato qualcosa a ognuno dei giocatori coinvolti nel Mondiale, allora anche l’11° posto sarà stato utilissimo per tutti.

Il gioco dell’Italia under 20

Dal punto di vista tattico, Massimo Brunello ha basato il gioco dell’Italia sui suoi punti di forza, come giusto che fosse. Una volta perso François Mey, sicuramente il giocatore più talentuoso a livello tecnico, lo staff degli Azzurrini ha deciso di accentrare ulteriormente il gioco sui primi 8. Si potrebbe parlare di eccessivo conservatorismo, ma se si scorre la storia recente delle giovanili azzurre, Brunello in questi anni di under 20 ha sempre adattato il suo gioco ai ragazzi che aveva davanti: la sua prima Italia, nel 2021, giocava in modo molto diverso perché c’erano giocatori diversi, da Simone Gesi a Lorenzo Pani, adatti a quell’idea di rugby. Allo stesso modo quella del 2022, e così sarà anche nel 2024, chiunque dovesse esserci in panchina, perché le nazionali giovanili cambiano ogni anno e hanno di conseguenza caratteristiche completamente diverse di stagione in stagione.

Cosa è mancato?

Due fattori chiave: il primo è l’esecuzione. Tanti, troppi errori di trasmissione del pallone hanno impedito ai ragazzi – soprattutto i trequarti – di esprimersi al meglio. Il secondo è in realtà legato al primo ed è forse il più importante, l’aspetto mentale: la partita in cui sono stati commessi meno errori è stata quella contro il Sudafrica, nonostante il diluvio e un campo indegno di una Coppa del Mondo. Quella contro i Baby Boks era anche la sfida che portava meno pressioni, e in cui alla fine gli Azzurrini si sono espressi al meglio. Quando invece l’Italia è partita favorita, ha sempre fatto molta più fatica del previsto: si era visto anche al Sei Nazioni, con gli Azzurrini sugli scudi e iper-aggressivi contro Francia, Inghilterra e Irlanda, e invece timidi e imprecisi contro Galles e Scozia, battute poi nel secondo tempo per manifesta superiorità.

Del resto, se si scorre la classifica, il Mondiale lo ha vinto la Francia, che a febbraio ha salvato la faccia e il risultato contro gli Azzurrini solo per i troppi punti persi al piede. Al secondo posto c’è l’Irlanda, con la quale l’Italia ha conquistato il bonus solo pochi mesi fa in un Sei Nazioni dominato dai verdi. Al terzo c’è il Sudafrica, battuto in casa propria, e al quarto c’è l’Inghilterra, contro la quale la squadra di Brunello è stata pienamente competitiva, dopo i due successi dello scorso anno. Chiaro, il Mondiale non è il Sei Nazioni, ma se nel 2023 l’Italia under 20 è stata in grado di competere con il meglio del rugby internazionale di categoria, non si può buttare tutto all’aria per un mese in cui le cose non sono andate come ci si aspettava, non dopo aver giocato il miglior Sei Nazioni della propria storia.

Il calo di prestazioni rispetto al Sei Nazioni può essere imputabile anche a un altro aspetto non abbastanza considerato in questi giorni: la profondità della rosa. Il Mondiale, a differenza del Torneo europeo, si è giocato come sempre in una finestra di tempo molto più ristretta: al Sei Nazioni si giocava una volta a settimana e con due weekend di pausa in mezzo, in Sudafrica ogni 5 giorni. Di conseguenza, più che la possibilità di schierare un solo XV di alto livello, ha prevalso la capacità delle squadre di mantenere lo stesso livello pur cambiando continuamente formazione, e forse questo agli Azzurrini è un po’ mancato.

I giocatori

In prospettiva, e seppur in mezzo a tante difficoltà, i principali talenti di questa Italia si sono confermati. Marcos Gallorini ha fatto più fatica del previsto in mischia ordinata, soprattutto contro la Georgia, la cui prima linea si è mostrata molto più competente per quanto riguarda i “trucchi” del mestiere lì davanti. Il pilone destro degli azzurrini, comunque devastante in campo aperto, dovrà lavorare su questo aspetto per poter essere pienamente competitivo anche tra i grandi, ma è un classe 2004 – va sempre ricordato – e avrà ancora un anno per fare esperienza anche a livello under 20.

David Odiase è e resta un trascinatore, in campo e fuori, e forse è lui l’uomo simbolo di questa squadra, e quando sono arrivate delle brutte sconfitte ci ha sempre messo la faccia. In terza linea, insieme a lui Jacopo Botturi (altro 2004) si è confermato un numero 8 di grande affidabilità: anche lui ha un altro anno di under 20 davanti, e soprattutto la possibilità di crescere e – si spera – di giocare con costanza al Petrarca. In seconda, Alex Mattioli ha fatto davvero un ottimo Mondiale, dando grande sicurezza a una rimessa laterale che a tratti ha zoppicato.

In mediana va registrato il notevole miglioramento di Lorenzo Casilio: al Sei Nazioni è parso talentuoso ma ancora molto acerbo, mentre in Sudafrica si è preso la maglia da titolare a suon di prestazioni. Anche lui deve migliorare alcuni aspetti dell’esecuzione, in particolare il passaggio sul compagno lanciato in corsa, non sempre eseguito coi tempi giusti, ma il suo è stato un Mondiale sicuramente positivo.

Andrà invece rivisto con maggiore attenzione Simone Brisighella, che ha portato quei punti al piede che erano mancati al Sei Nazioni – fondamentali contro Sudafrica e Giappone – ma deve ancora trovare la giusta collocazione. Ha buone prospettive di crescita sia da apertura che da estremo, ma in entrambi i ruoli deve ancora colmare delle lacune di impostazione (come 10) e di posizionamento (come 15). In assenza di Mey, il reparto trequarti si è affidato principalmente a Dewi Passarella, solito grimaldello palla in mano e sicuramente il più “esperto” dei suoi, viste anche le presenze in URC col Benetton: sicuramente tra i più pronti al grande salto.

È stato un buon torneo anche quello di Alessandro Gesi, concluso con una meta strepitosa al Giappone è parso il più affidabile anche in copertura nel triangolo allargato. Con l’Argentina si è sentita la sua mancanza, anche se ha avuto alti e bassi nel corso del Torneo. Da rivedere invece in futuro Matthias Douglas, il cui talento e le capacità di finisher non sono in discussione, ma che non è riuscito a dare quelle fiammate in attacco che sarebbero servite nei momenti più difficili.

Il bilancio

Certo, la giovane età e i risultati ottenuti prima non sono un’assoluzione per quanto visto contro Argentina, Georgia e Fiji, tre partite giocate male e al di sotto di ogni aspettativa. Quella con i Pumitas è una sfida difficile da valutare, dove è girato tutto storto e dove forse c’è stato un problema tattico fin dall’inizio: gli Azzurrini hanno scoperto il fianco al gioco al piede dell’Argentina e non hanno saputo trovare le contromisure adatte, al netto dell’espulsione di Aminu che ha poi complicato le cose, costringendo Brunello a togliere un trequarti e a scoprirsi ulteriormente dietro.

Le altre due sconfitte, invece, più che a un problema tattico sono collegate a un numero di errori di esecuzione abnorme, per il livello di alcuni ragazzi: non possiamo ovviamente sapere quanto queste difficoltà siano state tecniche e quanto mentali, ma queste sconfitte possono però trasformarsi in qualcosa di positivo, se usate come monito per i ragazzi: sia per i 2003 che hanno ora raggiunto l’età “adulta”, sia per i classe 2004 che saranno di nuovo presenti il prossimo anno.

Francesco Palma

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