La sentenza Sexton (ma non è l’unica) è un pericoloso precedente che rischia di mettere a repentaglio immagine e credibilità del rugby
La sentenza emessa oggi ai danni – forse sarebbe meglio dire a favore – di Jonathan Sexton è sicuramente destinata a far discutere oltre che a costituire un pericoloso precedente.
Leggi anche: Jonathan Sexton squalificato tre giornate. Salterà Irlanda-Italia e gli altri due test in preparazione alla RWC 2023
Non fa parte della nostra linea editoriale fare delle polemiche, tanto meno delle dietrologie o dei personalismi (pensando alla caratura del giocatore) ma appare chiaro che comminare solo tre giornate per un episodio di tale gravità dimostra che qualcosa non funziona nel metro di giudizio e revisione. Perché quelle che nelle motivazioni della sentenza vengono definite come “una buona dose di genuine attenuanti” non sono certamente sufficienti a giustificare l’esigua entità della pena inflitta a Sexton (e al Leinster).
Anzi se mai tutto il contrario. Perché se è vero che il giocatore ha rivelato alla commissione l’esatta natura delle sue parole, senza le quali sarebbe stato più difficile valutare la sua posizione, è altrettanto vero che da un video circolato in rete era abbastanza chiaro l’atteggiamento minaccioso del giocatore. Inoltre, ma di questo non viene fatta menzione, siamo abbastanza certi che il direttore di gara avesse già messo a referto le parole che gli erano state rivolte dal 37enne mediano di apertura.
Inoltre, e qui sta il vero problema a nostro avviso, attenuanti come “stato disciplinare eccellente, scuse, rimorso e valori morali” che sempre più spesso appaiono in diverse altre sentenze rischiano di diventare – permetteteci una parola forte – un incentivo per certi giocatori a poter avere comportamenti oltre le regole sapendo che poi la punizione sarà mitigata (anche in caso di recidività, come ad esempio successo di recente a Marcos Kremer).
Anche perché, e qui sta secondo noi la vera aggravante di quanto successo, il gesto non è frutto della frustrazione di un giocatore durante (o appena dopo la) trance agonistica ma di un atleta in abiti borghesi che non ha nemmeno preso parte al match.
Così come ci fa specie che il Leinster, multato per 8.750 euro, non abbia preso le distanze (almeno a noi non risulta) dall’atteggiamento del giocatore scusandosi con EPCR e gli arbitri.
Ma ciò che, a lungo termine, è ancora più preoccupante è il rischio di mettere a repentaglio l’immagine del nostro sport nei confronti degli appassionati e degli sponsor: il rugby fonda la propria riconoscibilità e apprezzamento sui valori facendo della parola rispetto il proprio cavallo di battaglia. Quale esempio trasmettiamo a giocatori e tifosi se un’icona del rugby si permette di avere un tale irriguardoso comportamento nei confronti della terna arbitrale? in nome di cosa coinvolgeremo nuovi giovani praticanti e aziende che a diverso titolo si avvicinano e alimentano questo sport? Chi vorrà intraprendere il percorso arbitrale se questa è la tutela nei confronti dei direttori di gara?
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.