Il numero 10 degli Springboks è l’unico mediano di apertura selezionato nei 33. Fino allo scorso autunno non aveva mai indossato la maglia della nazionale
Handré Pollard è nato con le stimmate del predestinato. Sin da quando ha centrato i pali con quel drop nella finale del mondiale giovanile del 2012, consentendo al Sudafrica di vincere per la prima volta il titolo a livello U20, il paese lo ha abbracciato come proprio pupillo.
Non a torto: Pollard aveva consentito ai Baby Boks di sollevare il trofeo nonostante partecipasse al torneo con un anno di anticipo sul normale ruolino di marcia. In nazionale maggiore ha debuttato a 20 anni, ha firmato alcune pagine indimenticabili, fino alla consacrazione con la vittoria della Rugby World Cup 2019, di cui è stato il miglior marcatore.
Ma ora Handré Pollard non c’è più. In senso sportivo, s’intende: l’infortunio al polpaccio subito durante la semifinale di Premiership con i suoi Leicester Tigers lo ha costretto a dare forfait, almeno per il momento.
Nella lista dei 33 giocatori convocati per la Rugby World Cup 2023 c’è un solo mediano di apertura: è Immanuel Libbok, detto Manie. Un volto affilato, ancora poco noto a chi non è un habitué dello United Rugby Championship, campionato preso in ostaggio dai suoi talenti nelle ultime due stagioni.
In una Rugby World Cup piena di talenti precoci, Libbok è una rarità. Un giocatore emerso negli ultimi 18 mesi: la cavalcata da protagonista per vincere lo URC 2021/2022 con gli Stormers, il debutto in nazionale lo scorso autunno, la prima da titolare nello scorso Rugby Championship. Tutto insieme, quasi d’improvviso, a 26 anni.
Perché nessuno crede mai fino in fondo in Manie Libbok. Forse neanche Jacques Nienaber, che è stato costretto a intervenire in conferenza stampa per chiarire che no, non c’è nessun piano di fingere un infortunio ad un giocatore della rosa ad un certo punto della coppa del mondo per riportare in gruppo, rientrando dalla finestra, Handré Pollard.
Il nome del giovane Libbok inizia a circolare negli ambienti rugbistici nel 2015. Alla Craven Week, il più importante torneo giovanile di rugby in Sudafrica dove ogni talento può sperare di essere scoperto, si distingue come miglior marcatore, con 43 punti in tre partite. Le sue clamorose abilità offensive, sia giocando per sé stesso che come facilitatore per i compagni, gli valgono una chiamata dalle nazionali U18 e U20 prima e dalla Academy dei Bulls poi.
Tra il 2017 e il 2020 ottiene un posto nella rosa della franchigia che partecipa al Super Rugby, ma in tre stagioni riesce appena ad accumulare una ventina di presenze, di cui appena 7 da titolare. Passa allora agli Sharks per il Super Rugby SA, giocato durante la pandemia, e la Rainbow Cup del 2021: raccoglie 9 apparizioni, senza lasciare troppa traccia del suo talento in una squadra dove gli viene preferito Curwin Bosch.
Vista la sostanziale bocciatura in due delle quattro franchigie sudafricane, l’opportunità che gli offre John Dobson agli Stormers è una sorta di ultima spiaggia per una carriera che rischia di inabissarsi. Libbok la sfrutta, anche grazie alla capacità del suo allenatore di empatizzare con il suo nuovo numero 10.
“Manie non ha mai parlato male di nessuno, ma penso che il suo problema ai Bulls e agli Sharks era semplicemente il basso minutaggio – ha raccontato il tecnico in un’intervista – Viene da un situazione economica instabile, si sentiva vulnerabile e voleva solo essere supportato. Quando è arrivato da noi aveva un’insicurezza drammatica, ma è bastato semplicemente dirgli: la prossima settimana giochi tu.”
“Con Manie non devi cercare di correggerlo o dirgli che ha fatto qualcosa di sbagliato, se ha fiducia in sé stesso è semplicemente un giocatore imperioso.”
“Prima di venire agli Stormers l’unico ad averlo davvero supportato è stato Mitch [John Mitchell, tecnico dei Bulls nel 2018]. È stato quando l’ho visto giocare per lui ai Bulls che ho capito quando fosse speciale il talento di Manie.”
Ora quel talento è esploso. Ha imparato a gestire la pressione, è cresciuto fisicamente fino a diventare un vero e proprio fascio di nervi, ha lavorato con abnegazione sul lato difensivo del proprio gioco per essere un giocatore completo.
Lo staff tecnico degli Springboks è rimasto tiepido, come altri prima di loro, ma poi Libbok li ha conquistati. A partire da quel pomeriggio a Genova, dove in 33 minuti di gioco ha guidato gli Springboks alla demolizione dell’Italia. Punteggio senza di lui in campo: 16-23. Punteggio con lui in campo: 5-40.
Ha sperimentato il suo primo Rugby Championship, tra alti e bassi. Nella partita più importante, contro gli All Blacks, è stato usato dalla panchina per dare una scossa nel finale, mentre il compagno di club Damian Willemse ha iniziato la gara da apertura titolare. Un’alternanza che potremmo vedere anche in Francia, alla Rugby World Cup, a seconda dell’avversario di circostanza. Di sicuro, Manie ci sarà, da protagonista.
“Sono grato per il percorso che ho fatto in carriera – ha detto in conferenza stampa dopo l’annuncio dei convocati – Ma quello che mi ha spinto a continuare a lavorare duramente, a testa bassa, per tutto questo tempo è questo.”
E quando ha detto questo si è battuto il palmo della mano sull’antilope in salto che campeggia sul cuore della sua divisa della nazionale sudafricana: “Ho sempre voluto essere uno Springbok.”
È il momento, Manie. È il momento di Manie.
Lorenzo Calamai
Gli altri protagonisti mondiali: Will Jordan
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