Un percorso lungo e tortuoso per arrivare in cima all’Europa con La Rochelle e ora a un quarto di finale storico contro l’Inghilterra
Non c’è dubbio sul fatto che Fiji sia la “grande intrusa” tra le magnifiche otto rimase alla Rugby World Cup francese. Sinora capace di fare spettacolo, sfiorando la vittoria col Galles o battendo l’Australia, ma anche deludendo come contro il Portogallo, la squadra pacifica è pronta a giocarsi il match della vita contro l’Inghilterra. Domenica alle 17 a Marsiglia gara senza domani per guadagnarsi il passaggio in semifinale, con i Flying Fijans che potranno anche contare su “Demolition Man”.
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Questo il soprannome di Levani Botia, un nickname che non richiede troppa fantasia per essere interpretato. La storia del 34enne è assolutamente particolare e merita di essere raccontata, sin da quando Botia scalava le montagne. Non è un modo di dire, visto che come lui stesso ha raccontato da ragazzo saliva sulle colline vicino al suo villaggio con l’antenna portatile per cercare la migliore ricezione per guardare la televisione. Cresciuto senza rugby di alto livello, lavorava come ufficiale carcerario e la sua carriera è iniziata proprio nella squadra delle guardie fino ad arrivare alla Nazionale a sette delle Fiji. Neanche lui disse alla moglie di questa passione ovale fino a quando lei la scoprì vedendo Botia in campo nel 2011. Passato al rugby a 15 nel due anni più tardi, nel 2014 arrivò a La Rochelle dove ancora gioca ed è uno dei leader della squadra. Una squadra trascinata anche da Botia dal Pro D2 alle due Champions Cup consecutive vinte (2022 e 2023) giocando prima come centro e da un po’ di tempo in terza linea, ruolo che ricopre anche con le Fiji in questo mondiale.
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“Alle Fiji il rugby ci scorre nel sangue” ha detto Botia “Questo sport mi ha dato tantissimo portandomi dove mai mi sarei immaginato di arrivare, è stata dura lavorare in carcere ma mi aiuta sul campo perché quando le cose vanno male penso alla fatica fatta durante il mio viaggio. Da piccolo ricordo che tutti noi ragazzini volevamo giocare a rugby, ma di palloni ce n’erano ben pochi. Usavamo bottiglie vuote, noci di cocco o qualsiasi cosa ci capitava per mano. Pensare di essere ai quarti di finale è incredibile, come squadra siamo estremamente uniti”.
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