Inghilterra, Galles e Irlanda sono di fronte a scelte importanti nel ruolo di mediano d’apertura
L’anno successivo alla Rugby World Cup è sempre un anno di rinnovamento. Inizia un nuovo ciclo, ci sono tante facce nuove, tante squadre affrontano momenti di ricambio.
Se l’Italia è l’unica delle formazioni del Sei Nazioni 2024 ad aver cambiato il capo allenatore, ad esempio, è anche l’unica ad aver mantenuto lo stesso capito del Sei Nazioni 2023 e della Rugby World Cup, mentre tutte le altre cinque hanno passato i gradi a qualcun altro.
In questo contesto, Inghilterra, Galles e Irlanda si trovano in una posizione particolare. Tutte e tre dovranno fare delle scelte importanti nel ruolo di mediano d’apertura. Risolvere il proprio dilemma del 10, in assenza dei loro giocatori storici: Owen Farrell, Dan Biggar, Jonathan Sexton.
In casa del XV della Rosa, l’assenza di Owen Farrell apre la porta a uno fra Marcus Smith (24 anni, 30 caps) e George Ford (30 anni, 91 caps), con l’esordiente Fin Smith (21 anni) che scalpita, dato uno stato di forma eccellente, probabilmente anche migliore di quello dei due giocatori che gli sono gerarchicamente davanti.
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Fra l’apertura degli Harlequins e quella dei Sale Sharks non potrebbe esserci differenza più abissale. Il primo è un giocatore che ama creare in prima persona, sfruttare la propria rapidità e le sue qualità elusive per fare la differenza in attacco. Il secondo è uno dei migliori registi del mondo, capace come pochi di manipolare le difese avversarie fase dopo fase. L’altro Smith, Fin, è un giocatore più simile a Ford di quanto non assomigli al suo omonimo.
Tanto dipenderà dalle intenzioni di Steve Borthwick e dello staff tecnico inglese: è il momento di mollare gli ormeggi e di impostare un piano di gioco che abbracci ed esalti le qualità di Marcus Smith o si preferisce conservare quanto di solido si è visto alla Rugby World Cup con un giocatore più esperto e consumato dal punto di vista tattico come Ford, puntando ancora su un approccio sparagnino e rugbisticamente catenacciaro?
Nella grande rivoluzione gallese Warren Gatland, orfano di Dan Biggar e Gareth Anscombe, sembra in procinto di consegnare la maglia numero 10 nelle mani di Sam Costelow.
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Il classe 2001 degli Scarlets è l’erede designato della maglia già dai tempi del suo passaggio nella nazionale under 20 dei Dragoni, oltre che dal pugno di caps racimolato prima e durante il mondiale. Tuttavia Costelow non ha avuto una stagione semplice, con alcuni problemi fisici che lo hanno costretto ad appena due presenze con il club da novembre a oggi.
Il suo posto lo ha preso Ioan Lloyd, l’altro contendente alla maglia numero 10 della nazionale. Altro classe 2001 capace di alternarsi tra il ruolo di apertura e quello di estremo, Lloyd potrebbe essere l’alternativa momentanea in attesa che Costelow ritrovi la forma migliore. Più complesso, invece, che la maglia vada a Cai Evans dei Dragons, giocatore che può giocare da apertura ma che ricopre sempre il ruolo di estremo in franchigia. Evans ha dalla sua delle dimensioni fisiche più comuni per il rugby internazionale rispetto ai due Scarlets.
Ultimi, ma non meno importanti, i dubbi nella testa di Andy Farrell. L’Irlanda si presenta come la favorita a questo Sei Nazioni, anche perché è la squadra delle sei che ha cambiato meno a livello di staff e rosa. Il grosso nodo rappresenta l’eredità di Johnny Sexton, vero e proprio profeta offensivo della squadra, senza il quale i Trifogli non hanno mai girato a pieno motore.
Per sostituirlo Farrell non può per il momento contare sul numero 10 del Leinster Ross Byrne, infortunato. Ha convocato quindi gli altri due mediani di apertura della franchigia, Harry Byrne e Ciaran Frawley. A entrambi, però, dovrebbe essere preferito Jack Crowley del Munster.
Il 24enne è reduce da un 2023 dove è passato da essere un giovane giocatore di talento con ottime prospettive future al numero 10 campione di URC e al ruolo di seconda scelta dell’Irlanda alla Rugby World Cup dietro Jonathan Sexton.
Un salto di qualità che adesso Crowley dovrà confermare con addosso tutta la pressione che arriva insieme al Sei Nazioni, palcoscenico capace di creare e distruggere nuovi campioni.
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