Il trequarti lascia dopo una carriera breve ma intensa, che ha toccato vette altissime
È durata poco, e ne avremmo voluto di più tutti. Noi e probabilmente anche lui.
Matteo Minozzi ha lasciato il rugby, almeno quello di alto livello, a 27 anni, dopo 3 stagioni difficili e tanti, troppi infortuni.
La sua carriera è stato un succedersi di epifanie. Manifestazioni di talento nella sua forma più chiara, una dopo l’altra, sempre a un livello superiore.
A partire da Salford, Inghilterra, qualche chilometro da Manchester. È il giugno del 2016, si gioca la seconda partita del girone B del mondiale U20: Matteo Minozzi alza al cielo un up and under da dentro i propri 22 metri e sprinta per andarselo a riprendere. In acrobazia, controllando il pallone, riesce ad alzarlo a Samuele Ortis. Il seconda linea serve Marco Zanon, che va in fuga e viene placcato sull’out di sinistra a una decina di metri dalla meta, ma ha la prontezza di alzare il pallone verso un accorrente compagno: è di nuovo Matteo Minozzi, che si è già rialzato, ha battuto tutti nella gara ad arrivare per primo nell’area del placcaggio e può tuffarsi oltre la linea di meta.
Italia 10, Australia 0, mezz’ora sul cronometro. Non finirà bene (38-10 al termine), ma il primo tempo degli Azzurrini lascia intuire che qualcosa nel rugby italiano sta incominciando lentamente a cambiare.
Lascia anche intuire che quel giocatore fisicamente più piccolo degli altri, ma con la dinamite nelle gambe, reduce dalle sue prime presenze nel rugby dei grandi con il Calvisano, è destinato a qualcosa di importante.
L’anno dopo, ad esempio, segnerà 16 mete, compresa una delle sei con cui i gialloneri sbaragliano il Rovigo e si laureano campioni d’Italia per la sesta volta, agli ordini di coach Massimo Brunello. C’è un momento in quella finale che squarcia la partita come una visione messianica: i Bersaglieri sono avanti 7-12, Calvisano gioca una rimessa laterale a metà campo e caricano con Jimmy Tuivaiti; in seconda fase la palla passa semplicemente da Fabio Semenzato alle mani di Matteo Minozzi, che danza sulle punte, si infila fra due avanti battendoli in velocità con semplicità irrisoria, fa il panico nella profondità avversaria girando attorno a un altro paio di avversari e poi serve a Michele Andreotti la più semplice delle mete.
Lo scalino successivo è l’allora Pro14. Le Zebre nel 2017/2018 attraversano la loro migliore stagione anche grazie al funambolico nuovo estremo che veste la maglia numero 15. Il 23 settembre la franchigia ducale ospita l’Ulster e combina lo scherzetto, con uno storico successo per 27-23. Minozzi propizia la meta di Bellini sgasando in mezzo al campo come una Vespa 50, Licata e Giammarioli firmano le altre due mete della vittoria.
La deflagrazione totale arriva al Sei Nazioni 2018. L’Italia è una squadra che si arrangia come può contro avversari decisamente di un altro livello. Per quattro giornate arrivano solo sonore sconfitte, all’ultima contro la Scozia arriva uno di quei mancati successi che hanno funestato il periodo di Conor O’Shea alla guida della nazionale maggiore: Greg Laidlaw centra al 79′ il piazzato che dà la vittoria agli ospiti per 27-29.
L’Italia si aggrappa al suo nuovo gioiellino: Matteo Minozzi ha compiuto un’impresa senza precedenti per un Azzurro, 4 mete in 5 partite, cartellino timbrato contro ogni avversaria ad eccezione dell’Inghilterra. Contro l’Irlanda beneficia di una superiorità numerica ben sfruttata da Hayward, contro la Francia si avventa su un ultimo passaggio di Gori deviato da una mano avversaria, con la Scozia piomba su un calcetto di Allan al doppio della velocità degli avversari, ma è la meta contro il Galles che sloga la mandibola dei tifosi.
L’Italia spinge nei 22 metri avversari, ma non riesce a trovare avanzamento con le cariche dei suoi avanti. Marcello Violi, numero 9 dell’occasione, si fa ingolosire e prova ad attaccare nel senso di gioco, anche se lo spazio è poco e gli Azzurri sono solo in due contro tre difensori gallesi. Violi finta il calcetto dietro, ma quando vede che Liam Williams rincula per coprirlo affida la palla a Minozzi.
Il 15 italiano ha un metro per ballare sulle punte, spingere col piede destro per allontanarsi da Williams e poi con il sinistro per rimanere in campo. Bellissimo, ma ancora più incredibilmente riesce a sfuggire al ritorno di Gareth Davies e di un altro difensore gallese andando a schiacciare in bandierina.
Quella volta l’epifania non ce l’hanno solo gli spettatori, ma anche Matteo Minozzi stesso, che si alza un po’ incredulo. Forse non è sicuro di essere riuscito a rimanere in campo, forse non ci crede nemmeno lui a cos’ha appena combinato, a 22 anni, al suo primo Sei Nazioni, al Millennium Stadium di Cardiff.
Dopo aver saltato un anno per la rottura del legamento crociato del ginocchio, Matteo Minozzi riprende il suo percorso nelle settimane precedenti la Rugby World Cup 2019. Tre mete alla Russia, duecento minuti di rugby nelle partite di preparazione per arrivare bene al girone di ferro che vede gli Azzurri con All Blacks e Springboks. Un mondiale zoppo dove l’Italia gioca tre partite, ne vince due e il resto è Hagibis. Minozzi ci mette un meta contro la Namibia e, una volta tornato a casa, passa ai Wasps.
In Premiership è protagonista di una stagione memorabile. Si assicura la maglia numero 15 del club giallonero. Andrea Masi, che lavora al club, racconta in un pezzo per OnRugby: “È un giocatore che è cresciuto molto sotto tutti i punti di vista. Ha fatto progressi importanti dal punto di vista fisico, è progredito tantissimo con la lingua inglese e sta sicuramente giocando il miglior rugby della sua vita.”
Il 24 ottobre 2020, dopo la pausa per la pandemia, gioca da titolare la finale di Premiership, persa 19-13 contro gli Exeter Chiefs. Una settimana più tardi è in campo con l’Italia per chiudere il Sei Nazioni contro l’Inghilterra. Resta in campo 46 minuti prima che una botta al volto lo costringa ad uscire. Dalle conseguenze dell’infortunio rischierà di perdere l’occhio, sarà l’inizio della parte meno divertente della carriera di Minozzi, fatta di infortuni, ritorni e altri infortuni. Ventotto partite di rugby in tre stagioni e mezzo.
Un finale un po’ amaro di una carriera fatta a forma e immagine di Matteo Minozzi: passata di corsa, con una frequenza di passo impressionante, facendo divertire tutti quelli che hanno avuto la fortuna di esserne testimoni.
Lorenzo Calamai
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