Quando sembrava che la curva di crescita della squadra fosse più piatta del previsto, è arrivata una prestazione magistrale
Un mese e mezzo ad attenderla. E poi, quando ci si avvia alla fine, l’epifania: l’Inghilterra è arrivata al Sei Nazioni 2024 e lo ha fatto nella maniera più esaltane e roboante possibile, battendo la squadra che sembrava avere ormai il Grande Slam nella tasca posteriore dei jeans.
La partita che ha avviato il Torneo del XV inglese lo scorso 3 febbraio all’Olimpico aveva mostrato chiaramente alcune caratteristiche fondamentali di questa nazionale in maglia bianca: un nuovo ciclo, con molte facce nuove e un nuovo staff, malgrado il timoniere sia rimasto lo stesso; un gruppo con un tasso di talento eccezionale; una squadra con l’intenzione di maturare uno stile offensivo meno minimalista rispetto al recente mondiale; un sistema difensivo caratterizzato da grandi ricompense quando funziona, ma con altrettanto grandi rischi connaturati quando non eseguito al meglio.
La pur traballante prima uscita lasciava intravedere una base di partenza dal quale si poteva immaginare un’Inghilterra in rapida crescita, ma la vittoria risicata con il Galles e la sconfitta in Scozia avevano lasciato più dubbi che certezze. Seppur annegato nelle immancabili critiche, era chiaro che il XV della Rosa stava provando a costruire qualcosa di nuovo, che richiede inevitabilmente tempo, ma la ricostruzione guidata da Steve Borthwick sembrava dover andare per le lunghe, anche più del previsto.
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E invece a Twickenham, contro l’avversario più difficile, è arrivata una prestazione impressionante da parte della squadra, capace di fare la partita contro l’Irlanda, di ergersi davanti al proprio pubblico ad avversario alla pari e infine di spuntarla a tempo scaduto grazie a un drop di Marcus Smith che funziona benissimo come copertina ideale di una giornata da ricordare.
In un Sei Nazioni che finora era stato un po’ in tono minore rispetto ai fasti precedenti al mondiale, la giornata di sabato ha invece rispolverato tutto l’allure del Torneo, prima con un’Italia-Scozia che al di là del risultato è stata una partita di assoluto valore, e poi con Inghilterra-Irlanda, sfida grandiosa di livello siderale che ha avuto tutto: tattica, strategia, estetica, colpi di scena e ribaltamenti nel punteggio.
Dopo la meta iniziale di Ollie Lawrence, su un contrattacco ben giocato, l’Inghilterra si è insediata per larghi tratti del primo tempo nella metà campo avversaria. L’Irlanda si è salvata grazie alle sue grandissime qualità, prima con un furto vitale di Tadhg Beirne dentro i propri 5 metri, poi scampando alla seconda meta di Lawrence per un in-avanti nell’ultimo passaggio di gioco. I padroni di casa hanno adottato la consueta tattica di non rischiare niente nella propria metà campo, usando sempre calci contestabili nella metà campo avversaria. In rimessa laterale la contemporanea presenza di Itoje, Martin e Chessum ha messo una enorme pressione sul lancio avversario, che è infatti stato spesso impreciso. In più l’Inghilterra ha vinto alcune battaglie fisiche importanti, come quando Ollie Chessum ha portato fuori dal campo Bundee Aki con un placcaggio roccioso subito dopo che l’Irlanda aveva accorciato sull’8-6.
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Nonostante questo la difesa irlandese non ha mai ceduto e il piede preciso di Jack Crowley l’ha mandata al riposo in vantaggio per 8-12 malgrado un solo ingresso nei 22 metri avversari nei primi 40 minuti.
Le cose sembravano prendere la piega giusta per gli ospiti ancora una volta quando al 43′ la difesa inglese è incappata ancora in un errore: esagerata la salita di Henry Slade in mezzo al campo, ottimo lavoro di Jack Crowley nel mandarlo a vuoto, creando il break di Doris che ha poi generato una perfetta finalizzazione corale, chiusa da James Lowe in bandierina.
È stato in questo momento che l’Inghilterra si è dimostrata cresciuta, continuando a mantenere tanta pressione sugli avversari e ricevendone immediatamente i frutti. Da un calcio di liberazione di Gibson-Park il contrattacco inglese ha trovato una difesa irlandese messa in forte disequilibrio dall’extra-lavoro di Slade ed Earl, bravi a tornare disposizione dei compagni. Con l’Irlanda che vicino al punto d’incontro in mezzo al campo metteva ben 11 uomini compattati in una decina di metri di campo, Underhill e Itoje hanno combinato alla grande per mandare Furbank in meta.
Proprio questo momento riassume in un microcosmo quella che è stata la partita: un’Inghilterra feroce fisicamente ha abbinato a questa aggressione dell’avversario una migliore esecuzione dei dettagli della partita, una maggiore quantità e qualità nel lavoro lontano dalla palla. È questo che ha consentito ai padroni di casa di spuntarla anche nell’ultima sequenza: a due minuti dalla fine, con palla all’Irlanda e l’Inghilterra in 14 uomini a causa dei numerosi infortuni, sono stati in grado di riportare il pallone fino alla linea di meta avversaria.
Qualcuno ha sindacato sulla scelta degli ospiti di calciare via il pallone con 90″ al termine della partita, ma qualsiasi altra squadra avrebbe fatto lo stesso con due soli punti di vantaggio e la necessità di una lunga sequenza di punti d’incontro dove l’eventualità di commettere un fallo e concedere la vittoria agli avversari è alta. Il calcio dal box di Murray, però, non è stato dei migliori e forse all’Irlanda sarebbe convenuto mantenere il pallone in campo piuttosto che consentire agli inglesi di lanciare una rimessa. È stato infatti molto, forse troppo, facile per l’Inghilterra guadagnare tantissimi metri nelle prime due fasi, con Freeman e Feyi-Waboso a portare la palla nei 22 metri avversari. E da lì il resto è storia.
All’Inghilterra rimane un successo enorme arrivato grazie ad alcune prestazioni individuali sensazionali. Su tutti un Ben Earl che oltre che essere l’indubbio Player of the match è forse anche il miglior giocatore di questo Torneo. Ma insieme a lui meritano una menzione Sam Underhill, ritornato al suo massimo livello distruttivo, e George Martin, che con lui ha distribuito una quantità e una qualità di colpi in giro per il campo il cui rumore sordo echeggia ancora a Twickenham. Per un George Ford opaco, una grande partita del triangolo allargato, capace di fare male a ogni pallone toccato.
L’Inghilterra è arrivata. Questo Sei Nazioni lo vincerà comunque l’Irlanda, che ha a disposizione molte più probabilità di vittoria rispetto alla Scozia e agli stessi inglesi. Ma gli uomini in bianco sono destinati a tornare ad essere a breve una potenza con pochi rivali se proseguiranno su questa curva di miglioramento che appare sempre più impennata.
Lorenzo Calamai
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