Il direttore tecnico della FIR sull’allenatore argentino: “Ha vinto una scommessa avendo pochissimo tempo per lavorare con la squadra, ma ha ricevuto anche un’Italia già trasformata mentalmente dal suo predecessore Crowley, con l’arroganza di voler sfidare quelli più grossi e bravi di noi”
Il successo dell’Italia sulla Scozia è stata una boccata d’ossigeno per tutto il rugby italiano, ma come sottolinea il direttore tecnico FIR Daniele Pacini ai microfoni de Il Giornale: “Non è un’impresa, abbiamo solo vinto una partita. L’impresa sarebbe vincere il Sei Nazioni. I ragazzi lo sanno e hanno i piedi per terra. Adesso il focus è vincere in Galles”.
L’imperativo, sottolineato anche da Danilo Fischetti e da tutto il gruppo squadra, è proprio tenere i piedi per terra, consapevoli che a Cardiff sarà durissima contro un Galles che ha un bisogno spasmodico di vincere. La differenza, però, la fa la maturità raggiunta dagli Azzurri, frutto di un percorso.
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“Abbiamo monitorato la crescita continua di questi giocatori fin da prima dell’ultimo Mondiale. Sapevamo che questa Nazionale aveva le qualità per essere competitiva, anche se poi da lì a vincere il passaggio non è automatico. La squadra ha acquisito una sua maturità, quella che abbiamo visto non solo contro la Scozia ma anche contro Inghilterra e Francia, una squadra che al Mondiale ci aveva messi in grandissima difficoltà” spiega Pacini.
“L’Italia può mettere queste sue prestazioni del suo DNA. Anche perché abbiamo una squadra dall’età media molto bassa” prosegue Pacini, che poi riconosce sia i meriti di Quesada, sia del predecessore Crowley.
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“Quesada ha avuto il coraggio di affrontare una scommessa sapendo di avere pochissimo tempo per lavorare con la squadra prima del Sei Nazioni, ma ha ricevuto anche un’Italia già trasformata mentalmente dal suo predecessore Crowley, con l’arroganza di voler sfidare quelli più grossi e bravi di noi” ha concluso il direttore tecnico.
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