Il pilone dei Bristol Bears critico sul sistema di identificazione dei talenti nel rugby inglese
Il pilone dei Bristol Bears, intervenuto su Up Front con Simon Jordan di questa settimana, il podcast di William Hill, ha parlato del sistema di identificazione dei talenti nel rugby inglese e criticato le divisioni di classe.
Già giugno 2019, in un’intervista a RugbyPass, Ellis Genge si era lamentato di come il rugby avesse un problema di classe e che non ci fossero infrastrutture adeguate nelle fasce più basse per coltivare talenti. Il pilone inglese riteneva che i giovani non avessero le stesse opportunità di quelli che frequentano scuole private con accesso alle strutture e agli allenatori migliori.
Nei giorni scorsi la prima linea della Nazionale inglese ha ribadito il suo concetto:”La RFU ha sicuramente un problema di classe. In giovane età, ciò che i ragazzi perdono per diventare un giocatore professionista di rugby dipende in larga misura dal divario di classe nello sport, e qui sto parlando strettamente di un divario finanziario” ha sottolineato il giocatore dei Bears.
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Secondo Ellis Genge, nel rugby inglese c’è una netta divisione di classe: “Quando si parla di tutto ciò che devi acquistare, delle ore che devi guidare per andare a tutte le scuole e alle partite di rugby, le scuole private hanno le migliori strutture e i migliori allenatori e produrranno talenti migliori”.
Per trovare i veri talenti, la strada percorrere per il pilone inglese è quella di recarsi nelle aree svantaggiate del Paese: “Io so dove si trova il talenti grezzo. I ragazzi con talento grezzo e aggressività sono affamati di uscire dal luogo da cui provengono, dalle aree svantaggiate. Purtroppo tutto si riduce ai soldi” ha dichiarato Ellis Genge.
Ellis Genge: il parallelo fra rugby e calcio
Il pilone dei Bears è originario di Knowle West a Bristol ed è riuscito a diventare professionista unendosi alla sua squadra locale e passando prima per Leicester. Secondo Genge, nel calcio è tutto molto più semplice: “Nel calcio, ad esempio, si vedono ragazzini arruolati a otto, nove e dieci anni perché il talento e le infrastrutture sono di base e loro sanno se c’è un buon giocatore. Non credo che i più grandi talenti del calcio debbano andare all’università per farsi scoprire. L’infrastruttura del rugby alla base ha bisogno di molto lavoro e finanziamenti” ha detto la prima linea.
Infine, per dimostrare quanto la sua tesi sia vera, ha citato un suo compagno di Nazionale: “Prendo come esempio Alex Dombrandt. Ha firmato il suo primo contratto da professionista quando ha finito l’università a 22 anni e adesso è uno dei migliori numeri otto della Premiership. I percorsi tra i due sport sono molto diversi, nel rugby non c’è l’identificazione del talento”.
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