L’obiettivo indicato alla vigilia – il podio – non è stato raggiunto, ed escludendo la storica vittoria di Dublino le Azzurre non sono mai riuscite ad esprimere tutto il loro enorme potenziale
No, non è stato il Sei Nazioni che l’Italia si aspettava. Banalmente, l’obiettivo dichiarato alla vigilia – il podio – non è stato raggiunto, ma soprattutto le Azzurre hanno chiuso per il secondo anno consecutivo con una sola vittoria su 5 partite. Non un fallimento, come sottolineato anche da coach Raineri, ma sicuramente un rendimento al di sotto delle aspettative e soprattutto al di sotto delle potenzialità delle giocatrici che sono scese in campo. L’Italia sta attraversando una lunga fase di cambiamento, sta cercando di introdurre nuove idee e nuove prospettive di gioco che però stanno dando risultati a corrente alternata.
Cosa lascia questo Sei Nazioni
Sicuramente questo Sei Nazioni lascia delle cose positive: prima tra tutte, la storica vittoria di Dublino contro l’Irlanda, un’avversaria che anche in anni passati è stata alla portata delle Azzurre, che però sono finalmente riuscite a sfatare un tabù forse più mentale che tecnico. Quel pomeriggio di Pasqua ha visto anche la miglior prestazione dell’Italia nel Torneo, forse l’unica giornata in cui la squadra di Raineri è riuscita davvero ad esprimere tutto il suo potenziale, reggendo fisicamente e mandando in crisi l’Irlanda nel gioco aperto, nonostante degli errori (i primi 15′ e l’intercetto subito da Rigoni alla fine) che avevano rischiato di compromettere un successo meritatissimo.
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In linea generale, il Sei Nazioni dell’Italia era iniziato bene: a Parma non era arrivata la valanga di punti che ci si aspettava dall’Inghilterra grazie a una strepitosa difesa che ha tenuto il match con le prime del ranking sullo 0-0 per oltre mezz’ora, poi il successo in Irlanda aveva reso le Azzurre favoritissime per la corsa al podio. Con la Francia c’è stata una prima battuta d’arresto, soprattutto nel primo tempo, ma considerando il valore delle francesi il match di Parigi poteva anche essere velocemente archiviato nello scaffale dei passi falsi senza troppi problemi.
La vera mazzata è stata a Parma, con la Scozia capace di imbrigliare le Azzurre in una partita diventata sempre più rognosa e che alla fine è sfuggita dalle mani dell’Italia. A Cardiff, purtroppo, è arrivata una sconfitta forse immeritata, ma comunque deludente considerando che il Galles fino a quel momento aveva giocato un Sei Nazioni davvero poco incisivo: l’Italia poteva e doveva dimostrarsi superiore a una formazione in crisi e con poche idee che non fossero le sportellate e la mischia avanzante, ma così non è stato. Sia contro la Scozia che contro il Galles si è vista un’Italia superiore tecnicamente che però si è ritrovata risucchiata in un tipo di partita lei non congeniale, senza riuscire a modificare il copione in corso d’opera.
Una fase di stallo
Alla fine si torna sempre all’origine: le cose migliori si vedono quando le Azzurre giocano a memoria, allargano il gioco e creano la superiorità numerica per poi farsi largo con la qualità delle loro interpreti, Muzzo e D’Incà su tutte, ma con un rugby femminile che si evolve alla velocità della luce (basta confrontare i ritmi e il lavoro delle giocatrici nelle fasi statiche di una partita dell’era pre-pandemia con quelli di adesso per notare la differenza) non può più bastare, e col tempo basterà sempre meno.
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L’impressione è che il gioco azzurro sia in una fase di stallo. In ogni fondamentale si alternano cose buone ad altre che non funzionano: tante idee, anche belle, che si perdono in un magma di errori di esecuzione e decisioni sciagurate nei momenti topici. Sicuramente tanto è dipeso anche dalle singole imprecisioni, dal passaggio fuori misura di Stefan a Muzzo che vanifica la miglior azione dell’Italia a Cardiff ai 21 errori di handling di Parma contro la Scozia, ma quello che bisognerà capire è se si tratta solo di una questione di tempo o se il cambiamento dovrà essere strutturale, anche prendendosi il rischio di cambiare strada a livello tattico, se questa dovesse continuare a non funzionare.
L’impressione è che le avversarie affrontino l’Italia sapendo benissimo quello che farà: calciano in profondità sapendo che Ostuni Minuzzi attaccherà palla in mano, coprono gli spazi al largo sapendo che per forza di cose le Azzurre andranno a cercare Muzzo e D’Incà (o Granzotto e la stessa Ostuni) ai lati del campo, e sanno che nascondendo il pallone all’Italia potranno avere la meglio nella battaglia fisica e soprattutto nelle fasi statiche, dove purtroppo non c’è stato il salto di qualità che andava fatto e andrà fatto per poter rimanere competitive a questi livelli.
Francesco Palma
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