Il tecnico del Giappone a Planet Rugby: “Il Super Rugby sta finendo sul lastrico, la Premiership è un ottimo prodotto ma fa ancora affidamento su finanziamenti esterni e sappiamo bene i problemi che hanno avuto con i fallimenti dei club nel 2022-23”
Mai banale Eddie Jones: nel corso di una lunga intervista a Planet Rugby il tecnico del Giappone ha affrontato diversi temi, tra la necessità di cambiare dopo il brutto 2023 con l’Australia alla volontà di ricominciare un grande ciclo con i Brave Blossoms, fino a un discorso più ampio sulla sostenibilità economica del rugby attuale. Proprio su questo, Jones è stato chiaro: “La verità è che al di fuori del Top 14 e della Rugby World Cup il rugby non è un prodotto sostenibile senza investimenti esterni”.
“Vero, l’interesse e l’entusiasmo per il rugby sta aumentando, sia a livello femminile sia dal punto di vista dell’inclusività con la Bingham Cup, e sta tornando ad essere uno sport per tutti, ma la verità è che nella sua forma attuale il rugby non è finanziariamente sostenibile. Il Super Rugby sta finendo sul lastrico, la Premiership è un ottimo prodotto ma fa ancora affidamento su finanziamenti esterni e sappiamo bene i problemi che hanno avuto con i fallimenti dei club nel 2022-23” ha proseguito Eddie Jones, che poi ha parlato anche del campionato giapponese, non esente da problemi.
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“La Japan Rugby League One è sovvenzionata dalle grandi aziende. I soldi-extra però non risolvono i problemi, mettono solo un cerotto finché la ferita non riappare di nuovo” ha detto Jones: “La League One di per sé è una contraddizione. Il livello è decisamente migliorato e le prime quattro squadre sarebbero competitive nel Super Rugby. Forse nell’emisfero nord le fasi statiche sarebbero ancora un problema per loro, ma sono buone squadre. La contraddizione sta nel fatto che solo il 53% dei giocatori è giapponese. Questo è uno dei problemi di un campionato professionistico giovane. In poche parole, dobbiamo rafforzare il nostro stock di giocatori qualificati a livello nazionale” ha confermato Jones.
Il tecnico ha poi ricordato che sarà necessario un processo di ricambio generazionale per ricalcare i fasti del periodo 2015-2019: “Dobbiamo sostituire alcune icone del gioco, ad esempio Michael Leitch, che è stato uno dei pionieri della rivoluzione del rugby giapponese avvenuta dal 2015 al 2019. In quegli anni il Giappone è passato dall’essere la barzelletta di tutto il mondo all’essere una squadra di punta del panorama mondiale”.
“Nei gironi dei Mondiali 2015 e 2019 il Giappone vinse in totale 7 partite su 8 (nel 2015 uscì ai gironi per differenza punti nonostante le 3 vittorie, ndr) e naturalmente Leitch fu delle forze trainanti principali. Aveva una straordinaria capacità di catturare cuori e menti sia dentro che fuori dal campo. Ora dobbiamo portare avanti dei giovani e intanto, finché è ancora in giro, potranno imparare da Leitch. Abbiamo dei giovani destinati a fare tante cose, penso a Takuma Motohashi, un seconda/terza linea davvero potente”.
Per farlo migliorare, però, bisognerà cambiare anche il sistema di sviluppo dei giovani: “La League One riceve finanziamenti massicci da alcune delle più grandi multinazionali del mondo, quindi gode di una discreta stabilità economica, ma sotto la League One abbiamo un sistema abbastanza tradizionale simile agli americani: si gioca al liceo, poi giochi quattro anni di università e poi vai in una squadra professionistica. Quindi non abbiamo alcun sistema di sviluppo di alto livello tra la scuola superiore e la League One e i giocatori più giovani possono perdere alcuni programmi di sviluppo chiave, ma ci stiamo arrivando e stiamo capendo ciò che deve essere fatto, il che è fondamentale”, ha spiegato Jones.
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