Come la canzone di protesta del gruppo rock irlandese è diventata una delle più ascoltate negli stadi della palla ovale, fino ad arrivare in Sudafrica
I giocatori del Leinster sono già tornati in campo, a Pretoria, mentre i Bulls si fanno ancora attendere. Al Loftus Versfeld, dove si sta giocando la semifinale dello United Rugby Championship, c’è della musica a tutto volume.
Qualche faccia irlandese è perplessa: dagli altoparlanti suona la voce di Dolores O’Riordan, la canzone è Zombie dei Cranberries. Quando arriva il ritornello tutto lo stadio, zeppo di tifosi sudafricani, intona: “It’s in your head/in your head/Rassie! Rassie! Rassie!”
È nelle vostre teste, Rassie Erasmus. Ci è entrato dentro, sottopelle, e vi ha mandato a gambe all’aria. Trolling di primissima categoria da parte dei supporters di casa, che hanno per eroe il director of rugby della nazionale capace di guidare gli Springboks a due titoli iridati consecutivi, e hanno ribaltato la valenza di una delle canzoni che da 12 mesi a questa parte accompagna più spesso le partite di rugby in Sudafrica e in Irlanda.
D’altra parte Erasmus a insinuarsi nelle teste altrui ce l’ha messa tutta: dai tweet ermetici e cospiratori al video di un’ora per criticare l’arbitraggio del primo test contro i Lions, dal travestimento da fisioterapista per poter entrare in campo al fianco dei giocatori fino al semaforo nella cabina dello staff per mandare segnali luminosi in campo, il tutto ritagliandosi una figura da vittima dei poteri forti che ha esaltato il proprio pubblico e lo ha reso quantomeno poco simpatico agli avversari.
Il percorso di tutta la storia, però, è singolare. Zombie, canzone di protesta dal testo cupo e impegnato, scritta come manifesto contro la violenza che attanagliava l’Irlanda dei Troubles negli anni Novanta, è diventata per prima cosa una canzone-simbolo per i tifosi del Munster. Non tanto per le parole, quanto per la notorietà del pezzo e per le origini dei Cranberries, band di Limerick.
Durante la Rugby World Cup 2023, poi, Zombie è diventata la canzone più cantata dai tifosi irlandesi nelle pause delle partite della propria nazionale, non senza qualche polemica da parte di chi ha ricordato la distonia tra il messaggio del brano e la festa sugli spalti di un match.
La tifoseria irlandese è stata una delle più numerose, rumorose e entusiaste tra quelle presenti in Francia durante il mondiale, una vera e propria comunità mossa da un grande coinvolgimento con i destini della propria nazionale: l’Irlanda arrivava alla rassegna come numero uno al mondo e con grandi velleità di vittoria, poi svanite ai quarti di finale.
Fin qui tutto bene, comunque: una canzone di un gruppo irlandese diventa un inno dei tifosi di quel paese come simbolo di irlandesità, e perché fra le altre cose è un gran bel pezzo quando è cantato da uno stadio intero.
Poi però l’Irlanda, che aveva battuto il Sudafrica nella fase a gironi, finisce fuori dal mondiale, mentre gli Springboks eliminano la Francia e vanno fino in fondo alla RWC. E lì accade il plot twist.
Negli spogliatoi del Sudafrica, a mondiale vinto, i giocatori in cerchio nello spogliatoio intonano il ritornello della canzone irlandese: “It’s in your head: Rassie! Rassie! Rassie!”. E fanno pure l’ia-ia-ia finale.
Il refrain diventa una costante del tifo sudafricano, vista anche la rivalità che oppone le due nazionali e le rispettive franchigie, che ogni anno si battono per la vittoria dello United Rugby Championship. Una rivalità che sarà rinverdita (quale altro verbo utilizzare per un confronto fra Irlanda e Sudafrica?) questa estate dalla serie tra le due nazionali, pronte a sfidarsi in campo per poter poi celebrare a squarciagola, cantando entrambe la stessa canzone, quella che da circa un anno è una delle più ascoltate negli stadi della palla ovale.
Lorenzo Calamai
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