A Samoa il giorno della marmotta dell’Italia del rugby

Una sconfitta che riporta ancora gli Azzurri a fare i conti con la propria solidità nell’affrontare le partite da vincere e dimostrarsi a tutti gli effetti una squadra di prima fascia

nazionale italiana rugby ph.-S.pessina

A Samoa il giorno della marmotta dell’Italia del rugby -ph.-S.pessina

Come ben sapranno i più sfegatati ammiratori di Bill Murray, è dal 1887 che il 2 febbraio di ogni anno la cittadina di Punxsutawney, amena località della Pennsylvania, diventa per qualche ora il centro del mondo per via del giorno della marmotta, il groundhog day. Per ore si aspetta che una marmotta esca dalla sua tana: se questa emerge e non riesce a vedere la sua ombra perché il tempo è nuvoloso allora l’inverno sarà destinato a finire presto, se invece l’ombra è presente perché è una bella giornata, l’inverno continuerà per altre sei settimane.

Totalmente in un altro contesto, sono lunghe le ombre dell’Italrugby sotto il sole di Apia, e il loro inverno destinato a durare ancora un po’. In Ricomincio da capo Bill Murray rimane intrappolato nel giorno del marmotta, costretto a riviverlo in un loop temporale dal quale sembra costretto a non uscire. E allo stesso modo la nazionale in maglia azzurra non è ancora uscita dal proprio infinito ricadere nei propri vizi, dal rivivere ancora gli stessi momenti.

Che il miglior Sei Nazioni di sempre avesse portato un bagaglio di esperienza e una crescita di consapevolezza tali da non permettere di scivolare su una annunciata buccia di banana come la trasferta samoana si è rivelata un’illusione: contro una nazionale samoana orgogliosa e ordinata, ma nulla di più, l’Italia è affondata come se l’afa di Apia le avesse squagliato le fondamenta. Tranne pochissimi, la maggior parte degli Azzurri hanno offerto una prestazione che va dall’opaco al gravemente insufficiente, come scrivevano una volta i professori delle scuole medie e forse adesso non più.

Evidentemente alla nazionale non era richiesta una vittoria con 40 punti di scarto come quella rifilata a una squadra samoana con più talento di questa nel novembre del 2022. Le note difficoltà logistiche, la fatica degli spostamenti, la lunga stagione disputata, il contesto estremamente particolare nel quale si sono trovati a giocare rendevano tutto più complesso, si sapeva. Ma gli Azzurri sono scesi al di sotto dello standard minimo richiesto per giocare un test match internazionale, sia nella maggior parte delle prestazioni individuali che nelle fasi di gioco collettive.

Dopo un primo tempo confuso, ma dove tutto sommato aveva dimostrato di avere il potenziale per portare in fondo la gara, l’Italia ha perso completamente il bandolo della matassa dopo essere andata sopra di 10 punti grazie alla meta regalata a Paolo Garbisi, lesto a recuperare un marchiano errore in presa aerea di un avversario su un up and under di Matt Gallagher (peraltro, forse, entrambi fra i pochi a raggiungere la sufficienza in campo). Nell’ultima mezz’ora di gioco ha subito un parziale di 18-0 e collezionato un festival di errori gestuali, rimesse laterali sbagliate, pessima distribuzione in campo: Samoa doveva essere la squadra che cercava di gettare la partita nel caos, andando maggiormente a nozze con il gioco rotto, invece è stata l’Italia a offrire loro questo tipo di gara su un piatto d’argento, come ben dimostrato dall’ultima meta dei nostri avversari.

Samoa dal canto suo ha disputato una partita sorprendentemente solida e scaltra: in mischia ordinata ha giocato intelligentemente senza mai cercare l’avanzamento, ma andando bassissima all’ingaggio per conservare la posizione iniziale e far uscire la palla il prima possibile, sia su introduzione propria che su possesso avversario; ha liberato bene al piede la propria zona rossa, cercando sempre la rimessa laterale (e qui l’Italia avrebbe dovuto approfittarne potendo lanciare il gioco da una piattaforma importante, ma non ci è mai riuscita per tutto l’incontro, anche quando ha portato giù i palloni dalla touche); ha giocato un rugby per linee dirette che le ha consentito di trovare avanzamento e dimostrare la bella tecnica individuale dei propri giocatori al largo, uscendo più di una volta dall’imbuto della rush defence azzurra. Il tallonatore Sama Malolo è stato una presenza costante con la palla in mano e nel punto d’incontro, il centro Danny Toala si è esibito in una serie di gesti tecnici decisivi: un gran placcaggio nel primo tempo su Tommaso Menoncello nel primo tempo per far capire l’antifona agli avversari, una meta prendendo un bell’angolo a 5 metri dalla linea e nel finale una francesina decisiva per mettere a terra Louis Lynagh lanciato in meta.

Leggi anche: Italia, Quesada: “Potevamo vincere anche giocando male, questa cosa mi fa diventare pazzo”

Ancora una volta, però, è la componente attitudinale ad aver tradito gli Azzurri. Una mancanza di prontezza mentale alla durezza della sfida e una incapacità di risollevarsi dalle difficoltà che torna ciclicamente e che si acuisce, ovviamente, tanto più si è lontani da casa.

Non è qualcosa di facile da controllare, né un elemento semplice da riconoscere guardandosi allo specchio, anche perché non si tratta semplicemente di una mancanza di volontà di mettercela tutta: è un aspetto psicologico più sottile, più fine di così. Tuttavia sono ancora negli occhi di tutti le capacità individuali, la qualità del gioco, l’intensità delle prestazioni, il desiderio di primeggiare dimostrati da questa squadra meno di quattro mesi fa. Il divario nel livello della performance tra allora e adesso è necessariamente una questione attitudinale, al netto di tutti gli altri già menzionati ostacoli.

Rimane questo il gradino da salire per la nazionale italiana per dimostrarsi pienamente una squadra di prima fascia. La sconfitta di Samoa torna a relegare gli Azzurri nel limbo delle Tier 1.5 e costringe Michele Lamaro e compagni ad un ultimo, necessario stringersi assieme prima della fine della stagione: solo due vittorie contro Tonga e Giappone possono a questo punto salvare la tournée degli Azzurri dal trasformarsi in una cocente delusione.

Lorenzo Calamai

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