Non solo gli Springboks sono la nazionale più forte del mondo, ma dietro c’è anche un movimento divenuto egemone dal punto di vista sportivo
Nel 1987 George Modelski, nato in Polonia con il nome di Jerzy e poi divenuto cittadino americano e professore di scienze politiche all’Università di Washington, pubblicò l’opera centrale della sua vita di ricerca accademica: Long cycles in world politics, cicli di lungo periodo nella politica mondiale.
Secondo Modelski a partire dalla fine del XV secolo si è innescato nel mondo un sistema di cicli egemonici di lungo periodo, dove una singola potenza nazionale è riuscita a dettare legge sul resto del mondo per un notevole segmento di tempo: il Portogallo delle grandi esplorazioni, i Paesi Bassi a partire dalla Guerra degli Ottant’anni, l’Inghilterra della Pax Britannica, gli Stati Uniti dalla Prima guerra mondiale fino ad oggi.
Non è un caso che il libro di Modelski sia uscito nel 1987, l’anno della prima Rugby World Cup in Nuova Zelanda.
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O forse sì, è un caso, ma il serioso modello della politica internazionale disegnato dal professore dell’Università di Washington si può in qualche modo applicare anche alla palla ovale e stabilire che siamo ufficialmente entrati nell’era del Sudafrica come potenza egemone del rugby mondiale.
Dopo aver vinto la seconda Rugby World Cup consecutiva nel 2023, gli Springboks hanno proceduto a dominare il Rugby Championship 2024: due vittore contro l’Australia, due vittorie contro gli All Blacks e un solo vero inciampo, contro l’Argentina in Argentina, prima di alzare la coppa con una prestazione che non ha lasciato scampo a dubbi su quale delle due fosse la squadra più forte.
Nel torneo delle nazionali australi, gli Springboks sono stati la squadra più disciplinata (38 falli commessi contro i 44 dell’Australia e i 49 di Nuova Zelanda e Argentina)e la miglior difesa (10 mete subite in 6 partite, e solo 10 punti subiti negli ultimi 20 minuti di ogni incontro). Soprattutto, però, c’è stata una clamorosa evoluzione offensiva sotto la guida del nuovo tecnico dell’attacco Tony Brown, che ha portato al primo posto nelle classifiche statistiche di mete segnate (24), linebreaks (50), metri percorsi palla in mano (3053), mete segnate in prima fase (11, di cui 6 da maul), ingressi nei 22 metri avversari (11,5 per partita).
Rispetto all’indomani della conquista del mondiale 2019 in Giappone, questa volta la nazionale sudafricana sembra voler rimanere il più a lungo possibile sul trono del rugby mondiale. Quattro anni fa Rassie Erasmus e Jacques Nienaber intrapresero un percorso di allargamento della profondità della rosa della nazionale messo in pausa soltanto per il tour dei Lions del 2021. Con l’unico obiettivo di essere ancora competitivi per la vittoria nel 2023, gli Springboks hanno sacrificato qualche risultato nello scorso ciclo mondiale.
Una cosa che, a dire il vero, sta accadendo anche di questi tempi. Rassie Erasmus ha scritto su X: “Abbiamo usato 35 giocatori nel Rugby Championship e 49 in totale nei 10 test match del 2024. Ne beneficeremo certamente nel lungo periodo!”
Quello che però è cambiato negli ultimi quattro anni è che nel frattempo il Sudafrica non è soltanto la squadra di rugby attualmente più forte del mondo, come dimostrano i risultati, ma anche il movimento maschile più robusto del pianeta, con una capacità di formazione e produzione di giocatori professionisti ineguagliata praticamente da chiunque altro.
L’ingresso di quattro franchigie nello United Rugby Championship ha permesso alla fascia di giocatori ai confini del rugby internazionale di crescere ulteriormente e di diventare opzioni credibili agli occhi dello staff. Un salto di qualità netto rispetto ai tempi del Pro14 con Cheetahs e Southern Kings, che poco avevano dato rispetto a Stormers (due volte finalisti in tre URC), Bulls (campioni), Sharks (vincitori della Challenge Cup) e Lions (squadra di sviluppo costantemente alle porte dei playoff).
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Al fianco di queste quattro squadre il Sudafrica si può anche giovare dei tantissimi giocatori che disputano i migliori campionati del mondo: non c’è squadra di URC, Premiership, Top 14 e ProD2 che non abbia qualche atleta sudafricano a irrobustirne le fila. Dei 39 convocati sudafricani nell’arco del Rugby Championship 2024, 13 giocano infatti all’estero.
Lo scorso giugno l’analista sportivo che gestisce l’account X AnalystGus ha pubblicato un post interessante. Un diagramma di Venn contenente i nomi di tutti i giocatori papabili per giocare nella linea di trequarti degli Springboks. La quantità di giocatori di alto livello rappresentati nel gruppo di insiemi è semplicemente senza senso, neppure Inghilterra e Francia arrivano a certi livelli, l’una per quantità e l’altra per qualità.
South African Backline Depth Venn Diagram 🇿🇦
Versatility has become an expectation in modern rugby. pic.twitter.com/x6hoGumx0l
— Angus (@AnalystGus) June 7, 2024
Per almeno una trentina d’anni abbiamo vissuto nel mondo ovale degli All Blacks. La Nuova Zelanda ha vinto tre Rugby World Cup tra il 1987 e il 2017 ed è stata per la maggior parte del tempo una squadra e un movimento decisamente all’avanguardia rispetto a tutte le concorrenti, tanto che sembrava impossibile scalfire il dominio dei tuttineri sul rugby mondiale.
Dal pareggio della serie con i British & Irish Lions del 2017 in poi si è concretamente avviato un declino dell’egemonia neozelandese, che è rimasta una potenza molto rilevante ma si è dovuta arrendere all’Inghilterra nel 2019, ha avuto un momento molto difficile tra 2021 e 2022 (sei sconfitte su nove partite tra novembre 2021 e agosto 2022), ha perso la finale del mondiale 2023.
Dopo un momento di incertezza, in cui il vertice del rugby mondiale è stato ambito da un certo numero di squadre, è emersa dalla lotta una chiara vincitrice: questo è il mondo del Sudafrica, e tutti gli altri ci stanno soltanto vivendo dentro.
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