Non la partita perfetta, ma la partita di cui le Azzurre avevano bisogno dopo la debacle con la Scozia
Serviva una reazione e la reazione è arrivata. L’Italia ha vinto una partita coraggiosa, dura, rognosissima contro un Galles che ha puntato tutto sulla fisicità ma è stato tradito proprio dalle sue armi migliori, che le Azzurre hanno saputo disinnescare. Non è stata la partita perfetta (tanti errori da entrambe le parti, ma soprattutto in attacco per le Azzurre) ma era la partita di cui l’Italia aveva bisogno per togliersi di dosso le tossine accumulate dopo la sconfitta contro la Scozia.
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Drive – Scritta così sembra il titolo di un pezzo dei R.E.M., e considerando che in quel brano Stipe e compagni parlavano di assumersi il rischio di sfidare l’autorità, non siamo così lontani da quanto successo a Città del Capo. Copione alla mano, il Galles doveva divorare l’Italia usando la rolling maul, ma così non è stato. Anzi, la meta delle Azzurre nasce da un drive ben pilotato dalle Azzurre fino ai 5 metri. Aver ribaltato l’inerzia del fondamentale chiave alle quali le gallesi si dovevano ancorare ha cambiato la partita.
Turani immensa. Stecca, mischia decisiva – Oltre al drive, si sapeva che l’arma più pericolosa del Galles sarebbe stata la mischia, soprattutto nel secondo tempo con l’ingresso di Tuipulotu. Così doveva essere, così non è stato. Sono arrivati un paio di calci di punizione, e il secondo nel finale sembrava lasciar presagire un finale amaro. E così Emanuela Stecca si è trovata a dover entrare all’82’ in una mischia a 5 metri per le avversarie avendo davanti quella che forse è il miglior pilone destro del mondo. Ha retto, così come dall’altra parte – spostata a destra – ha retto un’immensa Silvia Turani, autrice ancora una volta di 80 minuti da far vedere nelle scuole di rugby.
Attacco ed errori – Gli errori di handling, ancora una volta, potevano costare una partita che l’Italia meritava di vincere, e in generale l’attacco azzurro ha funzionato a tratti. Bene in occasione della meta di Giordano e in quella annullata pochi minuti prima a Ostuni Minuzzi, bene in alcune occasioni – come con la Scozia, l’incrocio con Granzotto che apre il buco a metà campo si è dimostrata una delle migliori armi a disposizione dell’Italia – ma poco costante. Contro il Sudafrica dovrebbe comunque bastare, ma per il Sei Nazioni servirà qualcosa di più.
Tounesi e Callender fenomenali – Statistiche alla mano, vincere un premio di player of the match giocando un solo tempo è un caso più unico che raro, che dà ulteriore valore alla prestazione mostruosa di Sara Tounesi, uscita precauzionalmente all’intervallo ma capace in soli 40 minuti di mettere le cose in chiaro: da queste parti non si passa. Tounesi è il simbolo di un’Italia coraggiosa, forse un po’ folle, che non si arrende mai, e del resto l’ha detto lei stessa, anche se con parole un po’ più colorite delle nostre (“We f*****g never give up”, “Non ci arrendiamo mai”). Dall’altra parte va citata la prestazione strepitosa di Alex Callender, che avrebbe conquistato il premio in caso di successo del Galles. Praticamente ovunque: nei punti d’incontro, sui palloni vaganti, su ogni ombra azzurra.
L’assalto finale – Non si può non chiudere così. Dopo la mischia, l’Italia ha piazzato alcuni placcaggi assolutamente degni di nota. Primo tra tutti quello raddoppiato di Veronese e Fedrighi su Tuipulotu a mezzo metro dalla linea di meta, poi il Galles apre il campo ma Powell va a sbattere contro una monumentale Giordana Duca. Infine, Keira Bevan – che a quel punto non ha più opzioni – prova ad attaccare in prima persona ma viene fiocinata da Vecchini (che si è fatta 80 minuti, giusto per ricordarlo) mentre Granzotto mette le mani sul pallone, tiene alta la mediana gallese e chiude lì la questione.
Francesco Palma
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