La partita di Udine contro l’Argentina gli Azzurri l’hanno persa con le proprie mani, ma malgrado una sconfitta pesante non è tutto da rivedere
Il 50-18 patito a Udine è pesante: l’Italia emerge dalla prima partita delle Autumn Nations Series con le ossa rotte e con un passivo che fa la storia, la peggior sconfitta di sempre contro i Pumas.
Una partita che gli Azzurri hanno perso a causa dei propri errori, più che per una superiorità dimostrata dall’avversario sudamericano nel gioco. L’Argentina è stata brava nel giocare una partita dalle sbavature minime, a continuare a esercitare una gran pressione fisica per tutta la gara e ad approfittare al massimo di ogni concessione avversaria, ma solo nel finale di partita, a risultato acquisito e a Italia condannata a giocare fuori da ogni piano di gioco, si è rivista una squadra audace e propositiva dal punto di vista offensivo.
L’Italia si è rovinata con le proprie mani: si è fermata quando il passaggio di Menoncello a Ruzza sembrava destinato a finire fuori dal campo, lasciando a Mallia l’opportunità di galoppare indisturbato verso la meta; ha faticato a segnare punti quando doveva a causa di qualche carenza di troppo nel lavoro di portatore e sostegni nel punto d’inconto; ha pasticciato sui rimbalzi impazziti dell’ovale in occasione delle mete di Bertranou e Albornoz; ha sofferto drammaticamente il gioco aereo delle ali avversarie, reagendo con lentezza sulle conseguenze dei contrasti in aria.
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E poi ha fatto buone cose, anche. Cose dalle quali vale la pena ripartire per dimostrare come, malgrado un risultato che brucerà a lungo nei cuori e nelle menti di giocatori, staff e tifosi azzurri, la distanza tra Pumas e Azzurri non sia così enorme, come ha peraltro voluto evidenziare Gonzalo Quesada dopo la partita.
Prendiamo la difesa, ad esempio. L’Argentina si presentava alla gara come una squadra che aveva stupito per la qualità della propria fase offensiva durante il Rugby Championship, ma l’Italia ha dimostrato di aver fatto i compiti a casa e di essersi preparata alla sfida, giocando bene nelle situazioni di difesa organizzata contro il multifase argentino, almeno fino a che c’è stata partita (fino alla meta di Albornoz, quindi).
Gli Azzurri hanno parzialmente rinunciato a un po’ di rapidità nella salita della difesa per rimanere connessi, costringendo l’Argentina a esaurire le opzioni offensive. Raddoppiando il placcaggio e rallentando così l’uscita del pallone, spesso l’Italia è riuscita a portare indietro l’attacco avversario.
L’Italia ha piazzato ben 17 placcaggi dominanti, ovvero interventi capaci di portare indietro l’attaccante dopo il contatto: è una cifra altissima, l’Argentina ne ha effettuati appena 2 su una base di oltre 40 placcaggi totali in più.
Le fasi statiche sono state positive: la mischia ordinata ha sofferto nei primi due ingaggi, ma poi ha preso le misure e, infine, il sopravvento nella ripresa quando è entrato il trio di prime linee dalla panchina; la rimessa laterale ha totalizzato un buon 12/13, al quale vanno aggiunte le due mete sulle conseguenze di drive da rimessa laterale, fase di gioco dalla quale gli Azzurri faticavano da un pezzo a trovare soddisfazioni.
L’attacco ha generato 7 linebreaks, più che in qualsiasi partita dello scorso Sei Nazioni. L’Italia dovrà crescere nella capacità di trasformare questa capacità di rompere il muro difensivo avversario in punti sul tabellone, cosa che a Udine non è accaduta sull’intercetto di Menoncello, né sul break di Ruzza, né su quello di Fischetti, tanto per citare alcuni esempi.
A Udine quasi tutto è andato a scatafascio, in un progressivo affondare della nave azzurra, ma non tutto quello che si è visto è da buttare. C’è abbastanza per recuperare l’orgoglio con una bella prestazione e un risultato soddisfacente domenica 17 novembre a Genova, quando arriva una squadra pericolosa, ma che gli Azzurri hanno tutte le qualità per mettere al loro posto. Ci vorrà un’Italia bella, ma soprattutto un’Italia salda, concentrata e fredda: alle volte il cuore troppo caldo annebbia la capacità di giudizio, e nella fredda serata di Udine la forte voglia di fare qualcosa di importante li ha traditi.
Lorenzo Calamai
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