Dell’ex capitano azzurro, inserito nella Hall of Fame di World Rugby, si potrebbe parlare all’infinito: abbiamo scelto 5 momenti significativi per raccontarlo
Doveva succedere, è successo: Sergio Parisse è stato inserito nella Hall of Fame di World Rugby. Non che servisse questo riconoscimento a ricordarci quanto il numero 8 più forte degli ultimi 20 anni abbia dato al rugby italiano e al mondo della palla ovale in generale, ma insomma, era anche ora, considerando che nessun italiano era mai entrato nel ristretto club che dalla cerimonia di Montecarlo del 24 novembre sarà di 171 persone.
Parisse è e resterà sempre una figura iconica, il manifesto del rugby italiano nel mondo: lo è stato per anni, e ancora oggi anche chi non sa nulla di rugby o non ha mai visto una partita sa chi è e che cosa ha fatto, perché ha travalicato i confini della palla ovale per entrare nella storia dello sport italiano. Come chi non ha mai visto una partita di calcio sa chi è Paolo Rossi, come chi non ne ha mai vista una di volley sa chi è Julio Velasco, come chi non ha mai visto una gara di Formula 1 sa chi è Michael Schumacher. Ecco, per Sergio Parisse vale la stessa cosa. Di momenti iconici nella sua carriera ce ne sarebbero tanti: ne abbiamo scelti 5 che potessero dare una visione quanto più completa non solo del giocatore, ma anche e soprattutto del leader e della persona.
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Quando andava a prendere i compagni a casa
Ai tempi Sergio aveva 8 anni, ma questo episodio – raccontato in “L’ovale rimbalza male”, libro scritto dall’ex capitano azzurro insieme a Martin Castrogiovanni e Gonzalo Canale – spiega già tutto ciò che Parisse sarebbe poi stato in seguito: un grandissimo capitano e un grandissimo leader. Siccome non era sempre facile mettere insieme 15 giocatori per poter giocare nel weekend, la mattina della partita Parisse chiamava tutti i compagni per assicurarsi che venissero, e una mattina purtroppo erano solo in 14: allora Sergio fece fermare il pullmino guidato dall’allenatore che li stava accompagnando davanti alla casa di un ragazzo che non si era presentato, bussò e andò letteralmente a buttare giù dal letto il compagno. Un leader nato. Proprio sua madre diceva: “Sergio, ti comportavi da capitano anche quando avevi otto anni”.
La meta (e l’esultanza) alla Francia nel 2013
È forse uno dei momenti più iconici della sua carriera e anche della storia della Nazionale. Italia-Francia, Sei Nazioni 2013, Stadio Olimpico. Buco fantastico di Orquera a metà campo che apre uno splendido tre contro uno per gli Azzurri, Parisse arriva in sostegno, evita una francesina e schiaccia per la meta del vantaggio. E poi l’esultanza: l’indice davanti al viso, come a zittire tutti. Poi la rivelazione tempo dopo: “Tutti pensavano che volessi zittire lo stadio, in realtà volevo solo calmare l’entusiasmo dei miei compagni”. In ogni caso, quel gesto e quella meta sono rimasti nella storia del rugby italiano, che quel giorno conquistò una delle gioie più belle della sua storia, conquistando la seconda vittoria in 3 anni contro la Francia.
Sergio che calcia come un trequarti (e la battuta di Nigel Owens)
Qui la lista di giocate sarebbe molto lunga. Potremmo partire dal drop del 2009 contro la Scozia, con Murrayfield che sobbalza dalla sorpresa di vedere un numero 8 calciare e centrare i pali con quella nonchalance. E poi c’è il controllo “da calciatore” contro gli USA al Mondiale 2011, quando col piede si riportò in mano un pallone vagante in mezzo al campo. Certo, non è sempre andata bene, come nel famoso drop mancato a Parigi nel 2016, ma anche in quel caso fu lui a prendersi una responsabilità che nessun altro aveva preso. Tra i tanti momenti, però, il più iconico (anche per il valore del co-protagonista) è forse quello del match di Champions Cup tra Bath e Stade Francais. Battaglia tattica al piede, Sergio va a prendersi il pallone nella propria metà campo e con un calcio perfetto lo spedisce, dopo il rimbalzo, nei 22 inglesi. Oggi sarebbe un 50-22, ma in ogni caso è un grandissimo calcio. Fatto sta che sulla rimessa successiva Bath subisce un turnover, e l’arbitro Nigel Owens fischia il calcio di punizione per i francesi chiedendo a Parisse – che era capitano – quale fosse la scelta: Sergio indica i pali, e a quel punto al buon Nigel – dopo quello che aveva visto – viene spontaneo chiedergli “Vuoi anche batterlo?”. Ovviamente risero entrambi.
Il sottomano
Il bagaglio di abilità di Sergio Parisse è talmente corposo che servirebbero 3-4 articoli per scandagliarlo tutto. Ne scegliamo una su tutte. Forse è “LA” giocata di Parisse, quella più iconica, quella che ha mandato in meta tanti compagni (e in confusione tanti avversari) e che spopola sul web nelle più disparate versioni: corsa di taglio, sottomano dietro la schiena per il compagno che incrocia e meta. Ce ne sarebbero tante, scegliamo quella che ha mandato in meta Mauro Bergamasco nella sfida con i Pacific Islanders del 2008. Anche se non bastò ad evitare la sconfitta, la giocata resta memorabile.
Le lacrime dopo Italia-Francia del 2019
È l’ultima partita del Sei Nazioni 2019, all’Olimpico arriva la Francia, e Parisse sa che quella potrebbe essere la sua ultima partita in quel di Roma (ed effettivamente sarà così). I Bleus di quei tempi sono una squadra tanto talentuosa quanto incostante, e quel giorno gli Azzurri dominano totalmente la partita, al punto che i telecronisti britannici a metà del match dicono “Non so come l’Italia possa perdere questa partita”, e lo ripeterà anche il c.t. Conor O’Shea al termine del match: “È incredibile aver perso questa partita”. Purtroppo, tra mete annullate e occasioni clamorose sprecate, quel match finirà nel lungo elenco di sconfitte immeritate dell’Italia, con la Francia che vince 25-14. Quel giorno si fa male anche Leonardo Ghiraldini, compagno di tante battaglie, che riporta una lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Tutto questo segna profondamente Parisse, che arriva in conferenza stampa visibilmente amareggiato ed emozionato, e a un certo punto scoppia in lacrime: è la dimostrazione di quanto Sergio ci abbia sempre messo la faccia, non solo quando le cose andavano bene ma soprattutto nei suoi ultimi anni da capitano, quando l’Italia aveva smesso di vincere. E anche per questo, forse soprattutto per questo, merita un posto speciale, non solo nella Hall of Fame di World Rugby, ma nella memoria di tutti gli appassionati di questo sport, italiani e non sono.
Francesco Palma
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