La squadra di Quesada aveva già raggiunto il primo obiettivo battendo la Georgia, ma il match con gli All Blacks apre prospettive nuove anche in vista del 2025
Coraggiosa ma incostante, difensivamente quasi perfetta ma poco concreta: non è facile analizzare l’Italia a due facce di queste Autumn Nations Series. Un crollo con l’Argentina che ricordava pericolosamente i vecchi tempi, una partita stranissima con la Georgia – dominata nei numeri, ma vinta con tanta fatica – e una prova di alto livello contro gli All Blacks. Il bilancio, alla fine, è più che sufficiente: l’obiettivo fissato alla vigilia – battere i Lelos – è stato raggiunto, e con la Nuova Zelanda i ragazzi di Quesada hanno trascinato uno Juventus Stadium che per la prima volta ha abbandonato i colori bianconeri per abbracciare quelli azzurri. E visto il risultato, la speranza è che possa accadere più spesso.
L’Italia verso il Sei Nazioni 2025
Anche se il primo obiettivo era stato già raggiunto, sicuramente aver giocato in questo modo con gli All Blacks pone gli Azzurri sotto una luce diversa anche in vista del Sei Nazioni 2025. La squadra di Quesada pur sbagliando tanto (ma lo hanno fatto anche i tuttineri) è sembrata come attitudine e forma fisica quella dell’ultimo Sei Nazioni, e questo ispira una riflessione importante: l’Italia al 100% (almeno attualmente) è questa, in grado di giocarsela con tutti, di battere la Scozia e il Galles, di pareggiare in Francia, di dominare in Giappone e di mettere in difficoltà anche gli All Blacks, la squadra che più di tutte gli Azzurri hanno sempre sofferto a livello mentale. Il passo successivo dovrà essere quello spiegato dallo stesso Quesada: ottenere risultati anche quando si gioca male. Non era successo ad Apia contro le Samoa e a Udine contro l’Argentina (non si chiedeva agli Azzurri di vincere, ovviamente, ma il risultato è stato troppo pesante) ed è successo invece – pur con troppa fatica – contro la Georgia.
È importante riflettere su un dato: una squadra europea gioca in media 11 test all’anno tra Sei Nazioni, Summer Series e Autumn Nations Series. È fisiologicamente impossibile giocarli tutti al 100%. L’unica che per qualità, mentalità e profondità può andarci vicina è l’Irlanda, ma non si può pensare di farne 11 su 11 a mille all’ora. Nel 2025 l’Italia dovrà confermare quanto fatto vedere nei 5 test prima citati, i migliori a livello di prestazioni, ma soprattutto dovrà fare un passo avanti negli altri 6, quelli andati male o così così: ritorniamo quindi alla partita di Apia, ma anche al successo poco esaltante contro Tonga, dove si poteva far meglio, fino ovviamente a Udine con i Pumas e in parte a Genova con i Lelos. In particolare, il match con Samoa brucia per un semplice motivo: l’Italia ha chiuso il 2024 con un bilancio “in pari” con 5 vittorie, un pareggio e 5 sconfitte, battere gli isolani avrebbe messo la ciliegina sulla torta a un anno che – non dismentiamocelo – resta straordinario.
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Un’Italia a due facce
Tornando alle Autumn Nations Series, per analizzare l’Italia a due facce vista a novembre possiamo provare a partire dall’inizio, da una sfida con l’Argentina resa ancora più difficile dalle diverse condizioni alle quali le squadre dell’Emisfero Sud si presentano ai test di novembre: le squadre europee vengono da una lunga preparazione fisica con i club, con i quali hanno giocato circa un mese e mezzo (tranne il Top 14 che parte prima) e a livello di Nazionali non stanno insieme dal tour estivo. Le squadre del sud invece arrivano dopo tantissimo tempo insieme, con il Rugby Championship e la Pacific Nations Cup a fare da collante tra i test di luglio e quelli autunnali. La differenza si è sentita, perché l’Argentina ha giocato al ritmo folle che le aveva permesso di giocare alla pari – e vincere – con All Blacks e Sudafrica. L’Italia ha tenuto, ha rimontato e poi si è spenta nella ripresa dopo aver preso 2 mete in pochi minuti, la terza e la quarta. Eppure, più che fisico, il crollo di Udine è parso mentale, e non è un caso che da quel sabato fino alla fine dei test Gonzalo Quesada abbia ripetuto come un mantra l’importanza dell’aspetto psicologico.
Anche perché subito dopo è arrivata la Georgia, la squadra che più di tutte evoca la spiccata tendenza a complicarsi la vita dell’Italia. E inevitabilmente, a Genova i tifosi italiani hanno pericolosamente ripercorso gli incubi di Batumi. Sono stati invece molto bravi gli Azzurri a non lasciarsi condizionare dalla tensione del match e dall’aggressività (a volte sfociata in provocazione) dei georgiani, fino a ribaltare una partita che nel secondo tempo ha avuto un solo padrone. I Lelos avevano i crampi già al 50′, l’Italia ha sprecato tantissime occasioni ma alla fine ha portato a casa il match più importante. L’impressione, rivedendo la partita a mente fredda, è che rigiocandola altre 10 volte sarebbero arrivate 10 vittorie con un distacco più ampio dei 3 punti del Ferraris. L’altra impressione, però, è che questa squadra abbia un po’ perso il “tocco magico” del Sei Nazioni. Su questo aspetto Gonzalo Quesada è stato molto chiaro dopo la partita con gli All Blacks: “È frustrante non essere riusciti a fare quello che avevamo preparato. Ma c’è un aspetto positivo, ci lavoreremo ancora di più e lo useremo al Sei Nazioni, così sorprenderemo tutti” ha detto scherzando, ma neanche troppo.
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E poi gli All Blacks: la disfatta di Lione aveva lasciato un ricordo fin troppo vivido e pesante nelle menti e sulla schiena degli Azzurri, bravi a togliersi subito di dosso il peso di quella partita e a giocare senza paura contro una Nuova Zelanda che – fuori dagli appuntamenti mondiali – non si era mai presentata col XV al gran completo per affrontare l’Italia. Va detto senza paura di apparire esagerati: per larghi tratti la squadra di Robertson ci ha capito ben poco di fronte all’ottima difesa azzurra, e se si considera che la seconda meta nasce da un grave errore arbitrale (Broussett inverte una touche che era italiana dopo un chiaro tocco di piede di Telea, e da lì la Nuova Zelanda va a segnare) e che la quarta è uno di quei regali che l’Italia prima o poi imparerà a non fare più, il distacco poteva essere ancora minore. Chiaramente, dall’altra parte vanno contati i calci che – con un punteggio più risicato – i neozelandesi avrebbero verosimilmente piazzato in mezzo ai pali, cosa che hanno fatto con Barrett quando si sono resi conto che allo Juventus Stadium sarebbe stata tutto tranne che una passeggiata. A proposito, da quanti anni gli All Blacks non piazzavano contro gli Azzurri? Ben 12, dal 2012, quando all’Olimpico Cruden fu costretto a prendersi per 2 volte i 3 punti in un match che gli Azzurri giocarono benissimo per 60 minuti, prima di cedere per un 42-10 veramente troppo pesante rispetto alla prestazione dei ragazzi di Brunel.
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E ora?
Il 2025 dell’Italia rischia di essere indirizzato, nel bene e nel male, fin dalle prime 2 partite: il Sei Nazioni degli Azzurri inizierà a Edimburgo contro una Scozia affamata, che come ogni anno partirà con la voglia di provare a vincere finalmente il Torneo e che vorrà riscattare la sconfitta di Roma che di fatto li estromise dalla corsa al titolo. E poi c’è il Galles all’Olimpico, una partita che dati alla mano l’Italia affronterà da assoluta favorita, ed è proprio lo scenario che storicamente mette in maggiore difficoltà gli Azzurri: coi gallesi è già successo nel 2023, quando la squadra di Crowley buttò via un match con un primo tempo troppo brutto per essere vero. Vincere quella partita, oltre ad essere un obiettivo plausibile, significherebbe anche mettere il Sei Nazioni in discesa e giocare le altre partite con meno pressione, soprattutto considerando che poi in estate gli Azzurri dovranno sostenere un vero e proprio crash test: due partite in Sudafrica con gli Springboks, due partite per dimostrare, come a Torino, di poter mettere in difficoltà tutti.
Francesco Palma
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