L’arbitro italiano racconta a OnRugby il suo anno straordinario: “In Irlanda-Australia ero più tranquillo rispetto alle sfide precedenti, ma gli All Blacks sono un’emozione unica”
Quello di Andrea Piardi è stato 2024 incredibile: 3 test match internazionali, primo italiano ad arbitrare al Sei Nazioni e primo a dirigere gli All Blacks, con la ciliegina sulla torta della seconda finale consecutiva di United Rugby Championship. L’arbitro italiano sarà impegnato in altre 2 grandi sfide in questi prime due settimane di Champions Cup. Piardi dirigerà infatti prima Glasgow Warrios-Sale Sharks e poi Leicester Tigers-Sharks: “È stato un anno di grandi soddisfazioni. Irlanda-Galles al Sei Nazioni, All Blacks-Argentina e poi Irlanda-Australia sono state 3 partite molto importanti per me, e aggiungerei anche la seconda finale di URC a giugno. Ho diretto tante sfide importanti e questo mi rende davvero felice” ha raccontato a OnRugby.
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Dopo il terzo test di alto livello in un anno ci hai fatto un po’ l’abitudine?
“Sono più tranquillo in campo e anche più consapevole. I giocatori mi conoscono di più, sono più sereno e riesco ad arbitrare più nel mio stile. Era successo già con la partita degli All Blacks, della quale mi rimane un ricordo bellissimo. Eden Park è uno stadio incredibile e vedere la haka ‘da arbitro’ è ancora più emozionante”.
Com’è arbitrare gli All Blacks? Mettono davvero l’arbitro sotto pressione?
“Forse una volta, quando c’erano giocatori di grandissimo peso come Richie McCaw, ma ormai tutte le squadre provano a mettere sotto pressione l’arbitro. Alla fine fa parte del gioco e del loro mestiere, non ci trovo niente di male e sta a noi gestire tutto nel modo giusto”.
Oltre alle partite importanti che hai diretto da arbitro ne hai fatte tante anche da assistente, qual è la differenza e come ti poni con il primo arbitro in questo caso?
“Ormai non ci sono più dei veri e propri assistenti, in campo ci sono 3 arbitri e quando ci sono delle decisioni importanti come quelle da rivedere al TMO si va tutti insieme a dare quella che è la propria chiave di lettura. Una volta magari l’arbitro era più ‘isolato’ e c’era meno coinvolgimento. Ci sono delle linee guida che ci aiutano a dividere i ruoli e a darci una mano negli aspetti più importanti del match. Ad esempio, gli assistenti sono molto coinvolti nel fuorigioco, nelle valutazioni sul lato chiuso della mischia e nelle rimesse laterali, mentre magari i punti d’incontro sono maggiormente responsabilità del primo arbitro. E ovviamente i falli di antigioco sono responsabilità di tutto il team”.
Qual è invece il tuo rapporto con il TMO?
“Il TMO è fondamentale nel rugby moderno. Credo che al momento una partita di alto livello senza TMO sarebbe molto complicata e anche poco credibile. Personalmente sono molto contento di averlo a disposizione e lo gestisco in maniera molto tranquilla. Non bisogna abusarne ma secondo me quando bisogna prendere una decisione che può avere un impatto significativo sulla gara è fondamentale coinvolgerlo e in questo modo coinvolgere anche tutte le persone che ci sono intorno: i giocatori, i tifosi, gli spettatori da casa, per far capire loro perché abbiamo preso una decisione rispetto a un’altra, anche perché ci sono partite che si decidono su episodi da TMO”.
Ci sono state delle polemiche, in questi anni, sull’eccessivo utilizzo del rallentatore quando si valutano i falli al TMO. Tu cosa ne pensi?
“Lo slow motion va bene in situazioni in cui bisogna determinare il punto di contatto di un fallo e capire se il contatto è diretto o indiretto su una zona pericolosa, ma bisogna fare attenzione perché il rallentatore può diventare il nemico più pericoloso. La velocità normale è fondamentale per andare a verificare il livello di pericolosità dell’impatto. Diciamo che nel ‘micro’ lo slow motion è molto utile, nel ‘macro’ invece bisogna fare più attenzione a ciò che vediamo a velocità normale. Faccio un esempio dall’ultima partita che ho arbitrato, Irlanda-Australia. Il TMO mi ha messo sullo schermo due falli di antigioco e ho chiesto di vederli a velocità normale proprio perché secondo me non erano più di un calcio di punizione. Anche Gordon (il mediano di mischia dell’Australia, ndr) mi ha chiesto perché fosse solo calcio di punizione e gli ho spiegato che avendo rivisto l’intervento a velocità normale per me non era più di un normale fallo”.
Come gestisci il dialogo con i giocatori diversi dal capitano?
“È vero che anche gli altri giocatori parlano con l’arbitro, ma la maggior parte delle volte sono i capitani a chiedere spiegazioni e a parlare con noi, quindi non ci sono grossi problemi dal punto di vista gestionale. Se un giocatore, anche se non è capitano, ha una richiesta io sono sempre disponibile a spiegare, penso sia importante. Ovviamente se invece viene a protestare il discorso è ben diverso”.
Un aggettivo per ognuno dei tre test che hai arbitrato quest’anno?
“Su Irlanda-Galles direi ‘storico’, perché comunque è stata la prima volta per un arbitro italiano al Sei Nazioni. Per Nuova Zelanda-Argentina direi ‘emozionante’, perché eravamo in uno stadio incredibile e poi una partita degli All Blacks ha sempre qualcosa di speciale. Per Irlanda-Australia direi ‘serena’ perché ero più tranquillo (ride, ndr)”.
Quale partita ti piacerebbe arbitrare?
“Avevo detto che uno dei miei sogni era arbitrare All Blacks-Sudafrica, i primi li abbiamo fatti, adesso dobbiamo fare il passo successivo (ride, ndr). Per quanto riguarda le altre squadre, mi piacerebbe arbitrare la Francia per il modo in cui gioca, mi incuriosisce molto. A livello di club in Europa ne ho arbitrati tanti, mi piacerebbe un giorno fare una partita del Super Rugby. Tra Emisfero Nord ed Emisfero Sud ci sono delle differenze a livello arbitrale, poi a livello World Rugby cerchiamo di uniformarci”.
Con quali giocatori ti sei trovato particolarmente bene o male?
“Devo dire che non ho quasi mai incontrato giocatori con cui non mi sono trovato bene. Quelli con cui non sono riuscito a creare un rapporto sono davvero delle eccezioni. Ho tanti bei ricordi del campionato italiano, penso ad Andrea Trotta e Matteo Ferro, quando siamo in campo ci divertiamo. A livello internazionale, se devo fare un nome, direi Siya Kolisi quando arbitro gli Sharks: ci troviamo molto bene”.
Come sarà il 2025 di Andrea Piardi?
“A livello sportivo spero di confermarmi almeno al livello del 2024. Non abbiamo ancora le designazioni del Sei Nazioni, credo usciranno a breve. A livello personale invece quest’anno è inarrivabile perché è nata la mia bambina, un’emozione incredibile che ti fa capire quali sono le priorità della vita. Certo, c’è il lavoro, c’è la fortuna di lavorare nello sport che amo, ma le due cose non sono paragonabili. Un evento così ti fa rivedere tutte le priorità della vita. Quando torni a casa e ci sono la tua compagna e la tua bambina ti dimentichi dei problemi della partita, che contano fino a un certo punto: è solo un pezzo del mondo, ma non tutto il mondo”.
Quanto è cresciuto il mondo degli arbitri italiani e quanto può crescere ancora?
“Gli arbitri italiani sono cresciuti tantissimo. Pensiamo che questa settimana ci saranno 3 arbitri italiani nelle Coppe Europee, io in Champions, Gianluca Gnecchi e Federico Vedovelli in Challenge, e tutti e 3 avremo un intero team italiano alle spalle, assistenti e TMO. In totale, quindi ci saranno 12 arbitri italiani in Europa questo weekend. In più c’è la Serie A Elite dove i ragazzi sono assolutamente di livello e coprono benissimo le nostre assenze quando siamo all’estero. A livello femminile c’è sempre Clara Munarini che è una garanzia e sta crescendo molto anche Clotilde Benvenuti ed è entrata nel panel del Rugby Seven di World Rugby. Negli ultimi anni, dal 2020 in poi, siamo cresciuti veramente tanto anche grazie al grande lavoro di Alain Rolland come consulente arbitrale. Il livello si è alzato tantissimo anche grazie all’utilizzo del TMO che ha fatto crescere in maniera esponenziale gli arbitri, anche perché per chi vuole arrivare a livello internazionale è ormai una condizione essenziale”.
Francesco Palma
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