Italia promossa? Cosa ci lascia il Sei Nazioni 2025

Gli Azzurri hanno raggiunto l’obiettivo primario, battendo il Galles, poi hanno giocato un torneo tra alti e bassi. Per valutare davvero il 2025 della squadra di Quesada, però, serviranno altre partite

Italia promossa? Cosa ci lascia il Sei Nazioni 2025 (ph. Sebastiano Pessina)

Italia promossa? Cosa ci lascia il Sei Nazioni 2025 (ph. Sebastiano Pessina)

È stato un Sei Nazioni difficile, e lo si poteva immaginare: le aspettative erano tante, le avversarie agguerrite e ormai senza più alcun pregiudizio sulla qualità degli Azzurri, e il livello del torneo sempre più alto. Per analizzare un Sei Nazioni abbastanza particolare per l’Italia, con tanti alti e bassi, è necessario partire da quello che era il primo obiettivo: battere il Galles e stargli davanti in classifica. È stato fatto, con una partita vinta bene (che forse poteva essere vinta ancora meglio a livello di punteggio, ma sul piano del gioco non c’è stata partita) e con un torneo che alla fine si può considerare sicuramente migliore di quello dei Dragoni. Il sistema dei bonus ha tenuto gli Azzurri in bilico fino alla fine, ma proprio l’ultima giornata (con la squadra di Quesada che mette i brividi all’Irlanda mentre quella di Sherratt affonda miseramente di fronte agli inglesi) ha mostrato tutte le differenze che ci sono al momento tra Italia e Galles, ratificate ulteriormente dalle 3 vittorie italiane ottenute negli ultimi 4 scontri diretti.

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Sei Nazioni 2025: Italia promossa?

L’ultimo dei tre successi sul Galles all’Olimpico è arrivato dopo una prestazione di maturità quasi impressionante rispetto al recente passato dell’Italia: la pioggia aveva costretto gli Azzurri a cambiare piano di gioco all’ultimo e a giocare una partita molto più vicina alle esigenze dei gallesi che alle proprie, eppure il totale dominio della collisione ha garantito una vittoria fondamentale. Per cui, già solo considerando il primo obiettivo, l’Italia può considerarsi promossa. Sul come, poi, se ne può parlare.

Che per l’Italia sia stato un Sei Nazioni difficile, forse anche più del previsto, è altrettanto un dato di fatto. Forse, però, bisogna analizzarlo ridimensionando un attimo le aspettative. Vero, era l’anno delle 3 partite in casa, ma paradossalmente il calendario era più difficile di quello del 2024, perché dei 3 match dell’Olimpico 2 erano contro le principali candidate al Sei Nazioni (l’Inghilterra si è inserita dopo) e uno contro una squadra che – almeno prima dell’esonero di Gatland, ma forse anche dopo – gli Azzurri avrebbero potuto dominare anche a Cardiff. Col senno di poi, gli Azzurri avrebbero avuto molti più vantaggi ad affrontare in casa Scozia (che come nel 2024 era una partita da 60-40 per la Nazionale del Cardo, parlando di probabilità) e Inghilterra.

Questo equivoco ha creato forse delle aspettative maggiori sugli Azzurri rispetto a quelle reali, perché il Sei Nazioni 2025 di fatto ha dato ragione a Eddie Jones quando parlava di Tier 1a e Tier 1b. Da una parte Francia e Irlanda, e in questo mese ci si è messa dentro anche l’Inghilterra, dall’altra la Scozia, l’Italia e il Galles. E anche qui, per citare un altro allenatore (stavolta della palla tonda, il buon Massimiliano Allegri) ci sono le categorie: l’Italia è partita come quinta squadra del torneo e ha chiuso quinta in classifica, davanti al Galles – al quale in questo momento è superiore – e dietro dalla Scozia che a livello di qualità è forse più vicina rispetto al passato ma non ancora vicinissima. E ovviamente, è dietro alle altre tre. Se si parte da questo presupposto, anche il Sei Nazioni 2025 dell’Italia può essere visto sotto una luce diversa, migliore.

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Si poteva fare di più?

E qui si arriva all’altra domanda che in tanti si sono posti alla fine di questo torneo vissuto in altalena: si poteva fare di più? Probabilmente sì, considerando banalmente i punti di bonus mancati – e alla portata, per come sono andate le partite – contro Scozia, Francia e Inghilterra. A Edimburgo (partita sulla quale torneremo tra poco) gli Azzurri si sono divorati la meta che li avrebbe riportati sotto break a pochi minuti dalla fine, contro la Francia pur di fronte all’onnipotenza Bleus (che si è ripetuta anche a Dublino e poi contro la Scozia, e questo deve ridimensionare anche la portata della sconfitta degli Azzurri), hanno avuto almeno due occasioni nitide per segnare la quarta meta, e lo stesso è successo contro l’Inghilterra, dove l’Italia ha faticato ad assorbire il triplo gancio di inizio secondo tempo che ha chiuso la partita, giocando una ripresa troppo confusionaria in fase d’attacco contro degli inglesi che a quel punto oltre a gestire non hanno più combinato granché. Sarebbero stati 3 punti in più che non avrebbero cambiato magari la classifica, ma forse avrebbero dato una maggiore percezione della competitività degli Azzurri, che per la prima volta avrebbero ottenuto punti in tutte e 5 le partite, impresa riuscita solo all’Under 20 nel 2023.

I rimpianti aumentano se si pensa a come l’Italia aveva giocato il primo tempo con l’Inghilterra, privandola di ogni soluzione e costringendola a giocare in maniera diversa dal solito, e soprattutto al modo in cui la squadra di Quesada ha giocato 70 degli 80 minuti di Edimburgo, il vero grande rimpianto – almeno a detta di chi scrive – di questo Sei Nazioni. Perché il match di Murrayfield stava seguendo esattamente lo stesso copione di Roma nel 2024: Scozia che parte forte ma che non può tenere quel ritmo fino alla fine (soprattutto a livello mentale) e che trova un’Italia brava a tenerle testa e a rimanere attaccata con i piazzati. Sul 19-19, l’impressione – non solo dall’Italia, ma anche da parte della stampa estera che stava seguendo il match – era che gli Azzurri potessero dare il colpo di grazia esattamente come l’avevano dato Lynagh e Varney a Roma. Invece un errore difensivo (Graham che salta mezza Italia indisturbato) che ha quasi del clamoroso, confrontandolo al modo in cui l’Italia aveva difeso nel 2024, ha di fatto regalato il match agli scozzesi e dato vita il primo dei 3 black-out che hanno caratterizzato questo Sei Nazioni.

I dilemmi tattici: Capuozzo, il turnover e la profondità

Dal punto di vista tattico, uno dei temi principali di questo Sei Nazioni è stato l’impiego di Ange Capuozzo, che ad estremo ha forse più opportunità per essere pericoloso, ma che all’ala può lasciare spazio a Tommaso Allan – fondamentale in copertura e dalla piazzola – con Paolo Garbisi apertura, altro elemento al quale Quesada non ha mai rinunciato – anche per la sua attitudine difensiva, nessun 10 ha placcato e lavorato come lui in questo Sei Nazioni – anche se nelle ultime due partite è parso giocare con la spia della riserva accesa. Chiaramente, Capuozzo deve fare un lavoro diverso rispetto a quello che fa a Tolosa, ma proprio nel match con l’Irlanda ha dimostrato di potersi andare a cercare il pallone ed essere pericoloso anche da ala.

L’altro dilemma riguarda la necessità di trovare una vera profondità, considerando che non sempre la panchina ha dato il contributo che ci si aspettava, come dimostrato dal fatto che in 4 partite su 5 l’Italia ha giocato meglio nel primo tempo che nel secondo. Escluso il solito devastante Zuliani, ci si poteva aspettare di più da Vintcent, che ha fatto bene quando è partito dall’inizio e non così bene quando entrato, così come da Riccioni che non è riuscito a dare il contributo che ci si aspettava. Allo stesso modo, nessuno dei trequarti inseriti da Quesada dalla panchina ha realmente fatto la differenza, se non Leonardo Marin, che col senno di poi avrebbe meritato più dei 5 minuti di Italia-Irlanda ma che logicamente ha trovato poco spazio avendo davanti già due mediani entrambi titolari.

D’altro canto, appare difficile chiedere a Quesada di sperimentare al Sei Nazioni. Anzi, per l’Italia è difficile sperimentare in generale: gli Azzurri vivono da sempre in questo limbo in cui o affrontano squadre di alieni o viceversa sfide in cui sono chiamati obbligatoriamente a vincere – e pure bene, altrimenti arrivano le critiche – e di conseguenza spazio per sparigliare le carte in tavola ce n’è davvero poco. Si poteva forse fare qualcosa di più nel precedente tour estivo, ma considerando le folli difficoltà affrontate fra trasferte lunghissime, calendari intasati e impossibilità di cambiare giocatori in corsa a causa della trasferta transoceanica anche in quel caso appariva difficile chiedere di più al tecnico e allo staff azzurro. La profondità si può acquisire soltanto col tempo, ma sviluppandola dal basso, senza chiedere a Quesada di fare turnover contro Inghilterra o Irlanda. Il tecnico può solo continuare a fare ciò che ha sempre fatto, inserendo pochi giocatori alla volta in un sistema già collaudato. Magari sui singoli nomi (Izekor, o lo stesso Marin) si poteva discutere su un maggiore impiego, ma per il resto è stato giusto confermare il blocco che si sta costruendo verso la Rugby World Cup 2027.

Il futuro: Sudafrica, poi Samoa e Australia

Che Gonzalo Quesada sia riuscito a cambiare qualcosa – in meglio – nella testa di questa Italia rimane evidente. Lo era nel 2024 e lo è ancora quest’anno: un tempo la doppia batosta con Francia e Inghilterra avrebbe scatenato un loop di prestazioni negative difficile da frenare, e un tempo con 30 minuti in inferiorità numerica contro l’Irlanda gli Azzurri si sarebbero molto probabilmente sbriciolati sotto i colpi di una squadra che non aspettava altro per mangiarsi la partita. Invece a Roma l’Italia non è stata magari perfetta, ma ha dato tutto contro un’Irlanda che era scesa in campo all’Olimpico per fare più punti possibili e che invece si è ritrovata a calciare fuori all’80’ per non perderla.

Adesso, gli Azzurri sono chiamati alla sfida più difficile che possa esistere: una serie in Sudafrica contro gli Springboks, un crash test che più crash test non si può. Nessuno chiede all’Italia di vincere, ci mancherebbe, ma a Pretoria e Port Elizabeth gli Azzurri si potranno dire promossi se riusciranno a reggere per 80 minuti l’impatto devastante della corazzata di Rassie Erasmus. E poi ci sono i test di novembre, dove – oltre al Sudafrica, per la terza sfida in pochi mesi – l’Italia affronterà Samoa e Australia. Con gli isolani c’è una rivincita da prendersi dopo la delusione di Apia, con i Wallabies bisognerà ritentare quella che nel 2022 fu impresa, e che adesso sarebbe invece la conferma della competitività degli Azzurri. Certo, è presto per parlarne e soprattutto bisognerà vedere come l’Australia uscirà dalla serie con i British&Irish Lions. In ogni caso, si poteva immaginare che questo Sei Nazioni sarebbe stato di transizione verso il futuro, perché il vero giudizio sull’Italia forse si potrà dare soltanto a novembre. Intanto, godiamoci un’Italia che può dire – senza timore di smentite – di essere più forte del Galles e di potersela giocare con tutti, per davvero stavolta.

Francesco Palma

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