Il Giappone vuole restringere le regole sugli stranieri nel campionato

Si prospettano norme stringenti che potrebbero influenzare il mercato rugbistico internazionale

Il Giappone vuole restringere le regole sugli stranieri nel campionato – ph. World Rugby

Priorità al sangue giapponese: la federazione nipponica è in procinto di introdurre stringenti regole nel proprio campionato per quanto riguarda l’utilizzo dei giocatori stranieri, in un tentativo di rendere il movimento meno diverso e multietnico.

La norma dovrebbe prevedere infatti che in ogni momento della gara almeno otto dei 15 giocatori in campo per una squadra della Japan Rugby League One, il massimo campionato nazionale, debbano essere di sangue giapponese. La definizione di giocatore di sangue giapponese proposta dalla federazione, racconta il media neozelandese Stuff, è molto rigida e restrittiva: non sarebbero considerati tali i giocatori nati all’estero, pur con passaporto giapponese, famiglia giapponese, inseriti nella società nipponica o che abbiano già giocato con la nazionale maggiore.

Solo colore che hanno già ottenuto più di 30 caps per il Giappone sarebbero equiparati ai giocatori di sangue giapponese. Secondo queste norme giocatori come il seconda linea Warner Dearns e il centro Dylan Riley, due dei migliori giocatori dei Brave Blossoms degli ultimi due anni, non sarebbero considerati giapponesi.

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Per anni il rugby giapponese ha avuto una strategia chiara: reclutare giocatori australiani, sudafricani, neozelandesi e delle isole del Pacifico fin da giovani, inserirli in un contesto professionistico e far crescere i numeri e la qualità media del movimento giapponese. Questo ha portato a una squadra nazionale eterogenea e a formazioni del massimo campionato con moltissimi giocatori nati all’estero. Dopo aver raccolto i frutti di questa policy, arrivando allo storico quarto di finale del mondiale 2019, oggi la federazione nipponica desidera avere una nazionale più identitaria, etnicamente omogenea.

La svolta non dovrebbe sostanzialmente andare a toccare i giocatori che in questo momento sono punti fermi della nazionale, come ad esempio i succitati Dearns e Riley, né la capacità dei club nipponici di attrarre alcuni dei grandi nomi del rugby mondiale (Richie Mo’unga e Aaron Smith, per citarne due, giocano attualmente in Giappone, Noah Lolesio e Mark Tele’a stanno per trasferircisi).

Metterebbe invece a rischio una pletora di giocatori stranieri che si sono trasferiti in Giappone per perseguire una carriera professionistica data la precedente politica della nazionale giapponese. I tanti australiani, neozelandesi, isolani che oggi popolano le università nipponiche in attesa di un contratto professionistico non lo avranno. I tantissimi giocatori di fascia media, magari anche eleggibili per residenza per il Giappone, che impreziosiscono le rose dei club del massimo campionato rischiano di vedere i propri contratti tagliati: questo potrebbe influenzare in maniera importante il mercato rugbistico internazionale.

Come fa notare Stuff nella recente gara di Japan Rugby League One tra Toyota Brave Lupus e Shizuoka Blue Revs nessuna delle due squadre avrebbe rispettato la regola di otto giocatori di sangue giapponese in campo.

Se da una parte la nuova norma danneggia una certa fascia di giocatori e parzialmente i club, già sul piede di guerra per chiedere alla federazione una integrazione graduale della regola, dall’altra le federazioni straniere guardano con interesse alla decisione: Nuova Zelanda e Australia non sarebbe scontente di avere una minore concorrenza e qualche possibilità in più di trattenere i propri talenti nel paese invece che vederli partire per il Giappone.

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